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L'uomo falena

Fuori la neve di gennaio continua a cadere copiosa e silenziosa la notte scivola via,
sotto la porta di casa.
Il camino acceso allieta un sonno che non vuol mai arrivare,forse rapito dalle caline
che salgono su per il comignolo,in spirali di fumo leggero.
Ormai si è fatto tardi e preoccupato dal peso dei fiocchi accumulati sul tetto,decido di dare un ultimo sguardo dalla finestra del balcone,che s'affaccia dall'alto sulla vallata.
Stropiccio un po’gli occhi incatramati a cercare le montagne davanti a me,
la neve è talmente fitta,che mi sembra di stare su un'isola circondata da un lago bianco
soffice come nuvola che avvolge misteriose vette.
Così dopo aver guardato attraverso i vetri, volgo il mio sguardo ai lampioni accesi,
che stanno verticali come impiccati sotto ai pini immobili. Dalla calma apparente,una luce non molto lontana,accompagna il rombo di un tuono ovattato e mi ritornano in mente
alcune parole contadine,che il buon Angelo,pastore ovino del paese mi disse:
-quando tuona con la neve,ne faremo le spese nei giorni a venire-.
Al ricordo di quelle sagge parole,capisco che continuerà per tutta la notte,
perciò passo dopo passo,mi avvio pian piano verso la camera,
il freddo letto mi aspetta impaziente.
Salgo le scale verso il sottotetto a cercar sollievo notturno,tra le calde coperte di vecchie lucchesine,dove i cuscini di lana della mia cara nonna Irma,
mi aspettano smaniosi nel volermi coccolare con il loro fatato sapore antico.
Cerco di rincuorare la mia stessa paura che mi attanaglia,perché le ore passano e i fiocchi, cadono da quasi un giorno,ininterrottamente.
la stanchezza si fa avanti come una carezza,che gentilmente mi corica sul letto,
come mia nonna faceva quando ero bambino,e lei diceva;
-non ti preoccupare ci sono qui io che veglio su di te, sempre-.
Il sonno ormai era arrivato e stranamente lascio accesa una candela su una vecchia sedia di legno,che uso come comodino,col rischio di andare a fuoco mi addormento.
Sprofondo nel letto, sognando di volare libero sulle ali della tigre,non so voi,
ma io son capace di rifare gli stessi sogni che da bambino,i grandi mi vietavano di fare, comunque questo non è importante. Non so che ora fosse, ma venni svegliato da uno strano ticchettio continuo e non so neanche da quanto lo stavo sentendo.
Una cosa era certa,è che non potevano essere i piccioni che vivono dentro un lucernaio affianco al mio letto.
Per un po’ rimasi con gli occhi aperti rivolti al sottotetto e pensai;
-stai a vedere che sta piovendo-.
Di scatto mi alzo,velocemente mi dirigo verso l'unica e piccola finestra della camera,la apro, ma la neve scende più copiosa di prima.
Rimango senza fiato al continuo rumore, perché lo spessore dei fiocchi
supera quasi il mezzo metro e dalla fatica che ho fatto per aprire le imposte
forse sono anche più centimetri.
Il freddo entrato  gela le ossa. Richiudo veloce quello che avevo appena aperto,
sperando di trovare acqua, mi risiedo ai piedi del letto e ascolto attentamente in silenzio l'estremo rumore.
In alcuni momenti il tintinnio sembra farsi debole,ma poi si sposta veloce sobbalzando
da una parte all'altra sulle marsigliesi tegole e ricomincia con la stessa forza,anzi,a volte
con più forza. Non capivo,e cercare una giusta causa mi sembrava la cosa più logica.
Aspettai il rumore farsi più debole,ad un certo punto lo sentii quasi come se si sedesse accanto a me,la calma illusoria si fece avanti, riaprii le imposte col minimo sforzo,
non un cigolio.
Trattengo il respiro,sposto dalla sedia il lume e lo appoggio delicatamente su una mensola,tra i libri accatastati in disordine,guardo il letto,mi avvicino,predo il guanciale lo appoggio al volto senza premere troppo e faccio un ultimo respiro profondo,
senza far baccano. Adesso sono deciso e metto il piede sinistro sulla seggiola,
il ginocchio destro sul muro e dolcemente mi arrampico per uscire fuori, fuori sul tetto.
Sento il corpo tremare senza un perché, le mie mani nel bianco silenzio si fanno spazio tra la neve e nella mente un unico pensiero;
-ma che vuoi che sia, sarà stata la tua immaginazione-.
Non feci in tempo a finire la riflessione,che nel voltarmi come un contorsionista dentro ad un cubo di vetro, vidi sul tetto di casa una grossa ombra accovacciata tra pesanti fiocchi di neve.
Cadevano grossi come il palmo di una mano e il mio volto ne era ricoperto.
La mano destra aggrappata all'interno della stanza,l'altra la usai per togliermi i cristalli che scendevano
dal cielo e gli occhi adesso liberi,li ricopro con fare da indiano.
Davanti al mio volto appaiono due rubini,così accesi che sembrano fuochi  in mezzo alla neve,incastonati
in un grande rapace alto più di un metro,ma quando si alza in piedi davanti a me,capisco che supera i due metri. Lo guardo stupito,convinto di sognare,mi do un forte schiaffo e con quel rumore,da quel corpo affusolato ne escono due enormi ali. Mi guarda e mentre prende il volo capisco che il cupo ticchettio era dovuto dal suo sbattere d'ali. Non un respiro,non una parola e vola via dal mio tetto,verso il cimitero del paese,lo seguo attento per cercar di capire dove vuole atterrare,perché anche il barbagianni come l'allocco in notti come queste stanno nel loro nido. Ecco ora plana dolcemente in mezzo ai cipressi piegati dal bianco peso, ma sembra disorientato dalle catacombe. Poi lo vedo scendere da qualche parte e sparisce.
No,non può finire cosi.
In fretta e furia rientro dentro casa,scendo le scale,m'infilo un maglione mentre cerco le scarpe pesanti,
il tutto fatto con poca cura senza calze e solo con pantaloni del pigiama. Esco,chiudo la porta,maramao
il mio gatto mi guarda attonito da sotto l'androne della posta,miagola affamato io gli rispondo mentre corro e scivolo sulla neve fresca,dicendogli che da li a poco sarei ritornato. Corro a più non posso scivolando,
poi un idea balena nella mente,mi fermo ad un secchione dell'immondizia cerco un grosso sacco di plastica nero,lo trovo mi ci metto sopra e giù in discesa verso il campo santo, perché da casa mia sono tre chilometri,e la fortuna quella notte volle che gli spazzaneve non erano ancora passati ed io non so che ore sono. Via, scivolo come il vento sulla neve soffice ed immacolata con velocità pazzesca,adesso sembra a me di volare, curva contro curva sbattendo i piedi ghiacciati per frenare, ora c'è l'ultimo gomito il cancello è la in fondo, ma la velocità è talmente elevata che ho consumato il rigido sacchetto che ho cavalcato.
Ormai sto correndo sulle ginocchia e mi lancio verso un cumulo di sabbia del tutto ricoperto dal bianco, cerco di rallentare ma lo schianto è imminente e non so come andrà finire,chiudo gli occhi e sbam finalmente mi fermo. Il rumore è stato minimo, la fortuna è che nel mio paese il cimitero è sempre aperto, anche di notte perché qui la gente si fida. Entro senza pesare troppo il corpo sul candido manto,gli occhi si sono abituati al buio,vado cercando qualche particolare indizio,che mi porti dove può essere atterrato quel che ho visto. Dopo pochi passi vedo una strana polvere fine,non marcata ma visibile ai miei occhi,con lo sguardo rivolto verso il basso e distratto non sentii il solito tintinnio,fino a quando non mi fu alle spalle.
Era troppo tardi per scappare quando me ne accorsi,sapevo che era dietro di me,così presi coraggio,
mi girai lentamente,quasi in un movimento da replay.
Quando finii il mio lento girare,mi trovai davanti un albero di quasi tre metri senza rami,con in cima due grosse palle di fuoco, sentivo la sua vita,il suo essere batteva nel mio petto.
Rimanemmo a fissarci per circa dieci minuti,immobili,la neve ci aveva quasi ricoperto il capo,cosi decisi di fare la prima mossa e gli chiedo:
-chi sei...- passarono decine di secondi, ma nessuna risposta...
Cerco di riformulare una domanda più semplice, in quello stesso istante,apri le sue straordinarie ali senza piume e nella mia mente sentii un esile voce che chiedeva aiuto. Ero avvolto tra le sue braccia, se così le vogliamo chiamare,quando l'occhio mio vide aggrovigliato sul suo basso lato sinistro, una trappola per uccelli,
una specie di cappio gli stringeva l'addome da cui ne usciva un liquido grigio ed emanava
un odore che sembrava resina di abete. Mi chinai dolcemente verso di lui,i suoi caldi occhi mi seguivano attentamente e delicatamente lo liberai da quel tormento. Subito fece un balzo indietro di circa un passo e richiuse le ali riprendendo quella strana forma di albero. Gli occhi sempre accesi ed io con la bocca aperta, rimasi così vicino a quell'essere,per non so quanto,poi nella mia mente sentii una frase che ancora oggi non l'ho mai sentita pronunciare con tanta gentilezza,e fu –GRAZIE-,
gli risposi,- non potevo far altro-,in cuor mio volevo sapere chi era.
Ma nel mentre stavo ripetendo quella domanda,ecco che nella mia mente
come se fosse collegata alla sua da una specie di telepatia senza tempo,mi disse:
-io sono figlio di sperimenti del tuo popolo,ti prego non dire niente a nessuno
 altrimenti mi uccidono, è già da molti anni che cercano di scoprire dove io vivo
 e non c'è bisogno che parli,basta che tu pensi ed io ti sento-.
Le uniche parole che uscirono dalla mia mente, furono le ultime pronunciate senza bocca;
 -non ti preoccupare, fidati-.
Da quella notte smisi di parlare ai miei simili, e lui se ne andò via con un colpo d'ali,volando.
In cuor mio sapevo che lui viveva nelle caverne delle tre morre grigie, ai piedi dei secolari faggi.
Tra le montagne della mia terra,nascosto agli occhi di stupidi scienziati che cercano di sostituirsi alla natura.
 
Apoz< 1990
 
 
 

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