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L'ultimo sogno dell'anno

 1
 
Entrai nel bar. C’era una certa animazione e fu così soltanto facendomi largo tra gli avventori che la scorsi. S’abbracciava a un amico comune, così salutai lui per primo. Ciao F…Gli dissi. Tutto bene? Lui mi rispose soltanto guardando me e lei, significativamente.
Voleva sbarazzarsene? Chi lo sa. So solo che non appena entrato in gioco presi per così dire il suo posto. La ragazza piangeva e aveva voglia di spifferare a qualcuno tutto il suo dispiacere. Cercava di farmi capire, di trovare le parole giuste affinché potessi condividere la sua afflizione, afferrando quanto fosse profonda, inconsolabile.
Ma io avevo una vita dietro e nulla di quello che poteva dirmi poteva suonarmi in alcun modo estraneo, e per di più ero sempre stato incline per natura alla sofferenza, così che incassavo sempre malissimo i “giusti” colpi della sorte. Perciò, se qualcuno mi rivelava le sua pene d’amore, non solo le riconoscevo immediatamente, ma sapevo, sentivo d’averle già surclassate in altra guisa e chissà quante volte… metteteci che il luogo dove c’incontravamo esercitava su di me un’influenza oscura, come un sintomo ancestrale che avevo sempre covato senza mai arrivare ad identificarlo e decifrarlo.
- Non so che dire, come dirtelo. – Diceva lei con l’accento ispanico marcato forte.– Che devo fare? Devo stare aqui, andare a casa?… Me mancano le cose in cucina… - Disse e piangeva un po’ di più. – Ma non posso, non lo so, non sono capace di fare la spesa. Non sono capace di fare niente…
- So com’è. - La rassicuravo. – So che non c’è nulla che possa dirti che ti faccia nessun effetto adesso, ma credimi: lo so quello che provi, lo so!
- No… - Rispondeva con l’occhio quasi vitreo. – No…
- Lo so. Conosco le notti cieche, annegate sotto una pioggia di lacrime. Conosco le ansie incurabili di attese senza ore, senza minuti, spese in allucinazioni gratuite di una gioia mai avuta e poi prosciugata per sempre… - Le dicevo. E lei, sotto l’ombrello di un soffrire che riteneva suo soltanto, e incondivisibile e irraggiungibile, non ascoltava.
- Ti prego. – La imploravo. – Ascolta almeno. Ti assicuro che sono in grado di sentire quello che tu senti. Ed è questa l’unica cosa che può sollevarti un pochino: comprendere che la tua solitudine assomiglia a tutte le solitudini… e anche alla mia… - Le confessai apertamente. – Per questo dico di comprenderti… - Qualcosa mi pungolava nelle mia insistenza. Credevo di percepire come il sintomo di una “febbre” straordinariamente benigna che, come uno vento primaverile o un server, emanasse messaggi eterei e appassionati, da cogliere e decodificare subito, senza remore...
Ma lei si rifiuta di raccogliere l’offerta, anzi, si ostina nel suo topos disperato, come non vi fosse alcun interlocutore a tenerle dietro. Mi sembra di essere inferiore alla potenza che tento di debellare… è forse perciò che non voglio arrendermi, che continuo a cercare le parole, sì, ecco, a cercare le parole per forzare il resistere che ella oppone al mio assedio dialettico, perché, penso, come può resistermi? Resistere alla forza della mia “cognizione del dolore”? Dovrebbe non solo crollare e arrivare a smaniare d’esser consolata, ma esigerlo, come se il mio impegno in tal senso l’autorizzasse a esercitare su di me un certo arbitrio. Ma è questo che voglio?
- Anch’io! – Le rivelo. – Anch’io ho perso la coscienza dei miei atti. Anch’io dimenticavo dove stavo andando e invece che dal giornalaio o dal fornaio, mi ritrovavo a casa di qualcuno che magari non volevo neanche vedere o che mi era persino antipatico. Vagavo desolato in un panorama che non distinguevo, salvo che, a tratti, un camminare, uno sguardo di qualcuno non mi facesse illudere di ritrovare colei che mancava. Se guardavo una strada, credevo di ravvisarvi un autobus con lei dentro; se mi trovavo su una spiaggia, scorgevo una barca in lontananza che la riportava da me. E’ così, lo so.
- Te non puoi compenderme… - Mormorò ibericamente. – Te ringrassio. Tu es gentile. Ma io… yo non puedo… - Rispose così, richiudendosi come farebbe un fiore percependo le umide avvisaglie del tramonto…
E io compresi che non mi avrebbe ascoltato mai, oltre al fatto che la mia ostinazione in fondo sottintendeva una sorta di “sudditanza” che andavo cercando di prodigare al suo amore ferito, onde porre rimedio al mio. Il mio amore ferito, la mia ferita ch’ella rifiutava di lenire con la sua.
Volevo pertanto amarla, avrei voluto amarla, non solo per le nostre vicendevoli inquietudini, ma anche perché sentivo che lei sopravvalutava ciò che aveva perso a fronte della ricchezza che mi sentivo di poterle offrire, il plusvalore della mia sofferenza, così evidentemente più radicale ed essenziale della sua… e io lo sapevo che poteva, avrebbe potuto amarmi, amare me in luogo di gettarsi via in un lutto inservibile e già liquidato. Me, consolatore casuale, caduto fra le sue braccia solo per metterci qualcuno dentro, per non abbracciare il vuoto, e che invece cercava di cogliere al volo un miracolo provvisorio, un precario attimo fuggente come una raffica di elettroni nella stanchezza di vivere. 
 
Così, al mattino del giorno dopo, primo gennaio, mi sono svegliato come fosse passato un anno da ieri sera. E con qualcosa che mi brancolava nel comprendonio, come un cane che si fosse perso. Mi sembrava come di averlo sognato, ieri sera; e che non fosse mai esistito niente di quell’avvistamento, di quella promessa di un bene, immediatamente spezzata – e della mia offerta così miseramente respinta. Ed ecco cos’è questa bestiola che mi guaisce tra le tempie: come ha potuto, come ha osato disprezzare tutto il dolore che posseggo e che le porgevo per porre rimedio al suo? Perché non ha avuto percezione, perché non ha colto un tributo tanto più elevato del prezzo che stava pagando?
Mi sentivo oltraggiato dalla indifferenza di chi rifiutava ciò che consideravo il bene più grandioso coltivato nelle mie viscere, e cioè il mio “istinto”, la mia inclinazione alla sofferenza che volevo e sentivo di poter offrire, volgendolo in valore, in affetto, come una specie di “massimo della vita”; come il vero tesoro dell’essere da cui far nascere ciò che davvero conta, e che, forse, è amore.
 
2
 
Caro F…, escusame si ieri sera te ho un po’ rotto las pelotas. Tu intendi como soffriva, yo, ieri per quel fijo de puta del mio amigo, che esta scapado con una bionda, puta como su matre!
Quando arrivò il tuo amigo, te sei squagliato subito. E yo soy remasta sola con esto uomo che era gentile e me ha subito cercado de consolar. E yo intendo quando una persona sta buona. Pero ero disperada, e lui non poteva comprendere. Me piaceva lui. Ho anche detto che devo fare spese, ma no tengo la forsa de andare – perché voleva invitarlo da me, per restare con migo. Despues no tenevo el coraggio de fare subito questo. Lui non entende como sento dolore. Lui diceva di comprendere, ma sembrava solo cercare una senorita, che estava l’ultima dia de decembre, e magara cercava compagnia. Ha detto anche altre cose, che yo no poteva entendere, che parlava molto difficoltoso. Pero yo sentiva che lui portava sentimento, molto sentimento. Parlava de una femina, de como teneva sofferenza del recuerdo d’ella, de como la andava buscando, cioè cercando in una barca, credo, ed ella non veniva mai… E yo voleva consolarlo, yo, pensava, poteva anche innamorarme de lui – ma così subito? Como se puede, subito? Y alora yo ho como fatto finta de non intendere la soya premura e lo ho mandato via, deluso e quasi che piangeva – ma yo, che devo fare? Yo stoy male per l’otros. Como se puede amar così, subito, lui? E te volevo anche dire che esto uomo è molto melanconico, che sembrava che estava più male lui de migo e por el mio male! E como poteva stare con lui si tutti e due eravamo così tristi? Solo per le lagrime? Madre de Dios, non estava possibile! E così è andato e yo espero che dopo questo, lui non era ancora più triste, perché sinò yo me sento anche più male che prima. Te dico: chiamalo. Tu parla con lui, che ha necessità de amigos, che se resta così triste nessuna lo amerà, né yo, che voleva già amarlo, ma che mostrava troppo dolor per amarlo!

Saludos F…, dà un abbraccio per me a tuo amigo.

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