Lo zerbino e la cagna - in collaborazione con IVV (per adulti) | Prosa e racconti | Andrea Occhi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Lo zerbino e la cagna - in collaborazione con IVV (per adulti)

Mentre svuotavo la vescica, che troppo piena stentava ad eliminare i liquidi accumulati durante le quattro ore di guida, lasciai che gli occhi leggessero gli “annunci” scritti sul muro. Quei simpatici articoli di consumo spesso frutto di scherzi tra amici (pronto? Come calda vogliosa vorrebbe farti pompini gratis? Ma chi sei?). Alcuni erano corredati di disegni, per chi non sapesse leggere, altri erano di una volgarità estrema, altri ancora tratti con mano incerta, altri divertenti, se non comici, simpatici gli amici.... Uno fra tutti colse la mia attenzione: “Per entrare in casa mia, pulisciti le scarpe!”. La grafia era elegante e non uno squallido ed impersonale stampatello, di solito utilizzato dalle mani prive di abilità nello scrivere. Eppure, era storto, e poteva essere di chiunque. Osservando meglio la parete, mentre il getto di urina schiumava in fondo alla tazza, notai che era l’unico messaggio cui prestare un certo credito. Il colore del pennarello, lasciava un segno. Era firmato “Violetta” e la mano che aveva impugnato quel pennarello era chiaramente femminile. Scrollai le ultime gocce, mi asciugai con un foglietto di carta igienica, mi allontanai dalla tazza e la fotocellula attivò lo sciacquone. Con due dita aprii la porta, mi lavai le mani e tornai alla parete per memorizzare quel numero di telefono cellulare, stupendomi del mio assurdo comportamento. In effetti, perchè mai? Suonava autentico e io ero curioso, maledettamente. Tornato alla macchina, prima di avviare il motore, telefonai, non senza qualche imbarazzo. Dopo alcuni squilli, una voce interrogativa, femminile: “Sì?”. “Guardi…ho letto…ehm...quel messaggio...”. Non finii la frase che la voce, all’altro capo dell’aria, continuò: “Lei è il primo a telefonarmi…è interessato?” Titubai una risposta affermativa. Mi sudavano un tantino le mani. L’appuntamento era a casa sua per il pomeriggio stesso; non credo fosse una coincidenza la vicinanza della stazione di servizio. Mentre posteggiavo osservai la zona: un quartiere elegante, spazi verdi, condomini con giardini curati, balconi fioriti, e villette a due piani, probabilmente ha sposato un avvocato, sta vogliosa. Arrestai la mia Audi davanti al civico indicatomi dalla voce che attribuivo a Violetta, così come confermato dal navigatore. Suonai al videocitofono e il cancelletto si aprì. Era come se fossi lo spettatore della scena di cui ero, allo stesso tempo, il protagonista. Una sensazione assurda, tipo essere al cinema e dentro lo schermo. Eppure andavo avanti, spinto da fili senza padrone. Terminato il vialetto, un portoncino blindato in legno, con al centro un massiccio batacchio d’ottone, si dischiuse. Un sorriso, pelle chiara, capelli biondi ed una stretta di mano mi accolsero: “Viola, per gli amici – accompagnò la frase muovendo le mani, come uno svolazzo della sua calligrafia– Violetta”. “Andrea” – mi presentai. Uno scamiciato, smalto giallo alle unghie delle mani. Ero già eccitato, ma impacciato. Avere una certa età non serve a nulla, rimani ragazzo per sempre. Seduti sul divano. Mi offrì una birra. “E’ la prima volta anche per me” – disse Violetta. Mi strappò un sorriso e mi tranquillizzai. Mi accorsi che non indossava biancheria e l’inturgidimento tra le mie cosce iniziava ad essere un poco doloroso. Si sollevò l’orlo del vestito e mi mostrò la sua vulva liscia. Interessante, pensai, le piace sentire tutto. “Posso?” – Le chiesi. “Fai ciò che vuoi”. Presi la bottiglia di birra e la avvicinai a quella bocca. Si distese sui cuscini inarcando la schiena, la bottiglia le entrò facilmente sino al collo. Muovendosi per sentire contro le pareti il vetro, tra un ansito e l'altro, arrivò ad un gemito e disse: “Poi tocca a me!” Parte della birra entrò in lei, altra bagnò il divano e sgocciolò sul tappeto. Violetta mutò atteggiamento, ergendosi nella sua misera statura con incredibile autorità, si alzò in piedi e con voce ferma: “Razza di incapace, buono a nulla. Ora lecchi tutto…in ginocchio!” indicando con l'indice da maestra. Ubbidii all’istante. “Prima dalla fica, idiota…non vedi che sgocciola? Sei proprio un deficiente!” Bevvi dal suo inguine. Poi, carponi leccai il tappeto. “Bravo! Vedi che sai comportarti come si conviene ad un servo, se vuoi? Devo pulire casa, perciò spogliati e datti da fare”. Nudo davanti a lei. “Comandi, signora”. Incantato guardavo il cuoio elegante agitarsi nell'aria. Con la mia cintura mi colpì al pene eretto. Il dolore mi procurò piacere. “Fai schifo! Per chi mi hai preso? Per una troia di strada?. Ora vieni che ti mostro la scopa. Che fai? Cammini? No, no…carponi…come il cane e seguimi, ma a debita distanza”. Giunse ad una porta e prese una scopa con il manico a forma ricurva. “Stai fermo!” Unse il manico e lo sentii insinuarsi dentro di me. “Ora scodinzola per casa, come fossi felice di vedermi, io ho altro da fare. Quando hai finito, vieni a chiamarmi”. Diligente, seguivo il suo comando, dolorante e canino. Dopo circa un’ora, ritornai al divano. Violetta con in mano un dildo vibrante azzurro si stava divertendo da sola. Dolore e frustrazione sul suo viso. Le leccai il piede che ciondolava dal bracciolo. “Ah! Hai terminato…” Ora ci sono da pulire le scarpe.” Mi estrasse la scopa dall’ano e la seguii, sempre carponi, su per le scale. In camera da letto, aprì la scarpiera e disse: “Ci son da pulire tutte queste! Stenditi! Fai ciò che ti riesce ottimamente: lo zerbino!”. Prono strisciò sui miei genitali una decina di scarpe, quando un lampo attraversò il mio sguardo. Forse ora sarebbe stata lei la cagna. Violetta lo percepì eccitata. Mi alzai in ginocchio e le morsi le cosce, come un cane rabbioso e continuai nonostante i sui violenti colpi, inferti con un sandalo a tacco 12. Perse l’equilibrio per la foga e cadde su di un pouf di pelle. Le fui addosso e le morsi la gola. Sottomessa, almeno per un attimo, si lasciò violare dalla punta di due diverse calzature. Una nell’ano ed una nella fica. Non aveva ancora imparato chi avrebbe potuto riprendere il comando. Da vero imperatore la usai, come un contenitore viscido e squallido: le riempii la bocca col mio pene e svuotai i miei testicoli nella sua gola gorgogliante.
 
 

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