Scritto da © caterina - Lun, 09/11/2009 - 13:24
C’era una volta una donna che non aveva tempo.
Non aveva mai tempo per fare le cose che le piacevano.
Aveva deciso che, nella vita, avrebbe fatto prima le cose che erano necessarie e doverose e, a un certo momento, avrebbe smesso e si sarebbe presa tutto il tempo per fare le cose che le piacevano davvero.
Abitava in una casetta bassa, in cima ad una montagna. Da lassù si vedeva il mare. Le sarebbe bastato poco tempo per prendersi una sedia e guardare il sole tramontare. Dalla sua casa, si vedevano le navi attraccare al porto.
Dio regalava dei tramonti fantastici su cui fermarsi.
Al tramonto, il mare diventava di cristallo e le barche che galleggiavano sembravano fiori di ninfea dentro uno stagno.
Poi il cielo diventava arancione e giallo, e cambiava il colore del mare, regalandogli sprazzi di luce che si rincorrevano tra un’onda e l’altra. Quando, poi, il sole si tuffava nell’acqua, il cielo diventava rosso e gli sprazzi di luce, come bimbi assonnati, si acquetavano e si addormentavano tra le onde.
Pian, piano, diventava più scuro; si accendeva Sirio, la più luminosa, e poi arrivava la Luna, che si dondolava nel cielo aspettando che si accendessero tutte le altre stelle.
Ma la donna che non aveva tempo non si fermava mai a guardare. Tanto sapeva che c’era ogni giorno un tramonto e poi, quando avrebbe avuto tempo, li avrebbe visti tutti.
A volte stava male, come capita a tutti, ma Lei non stava lì a sentirlo quel male. Non ascoltava il suo corpo, che si lamentava come una vecchia quercia strapazzata dalle folate di vento: lei sapeva dominarlo, il dolore e - diceva - «Ora non ho tempo di sentire male» e, piegando la testa, andava avanti.
A volte le veniva da piangere, come capita a tutti, ma fermarsi a piangere era tempo perso: c’erano decine di cose da fare e - pensava - «Ora non ho tempo di piangere» e andava oltre.
Lei era una donna forte e molto intelligente e, a volte, si sentiva la padrona del mondo. Ma non aveva tempo da perdere, Lei: «Andare a passeggio, leggere un libro per intero, fare tardi a letto una mattina solo per il gusto di farlo? Guai al mondo perdere tempo così!»
Le persone che la conoscevano avevano grande stima e fiducia di Lei, ma era più facile essere espansiva e gentile con gli sconosciuti, piuttosto che esserlo con chi le stava vicino. Gli amici la invitavano, chi a passeggio, chi a pranzo a casa loro, ma Lei procrastinava sempre: «Ora non ho tempo: quando ce l’avrò, verrò… farò…».
Spesso si rendeva conto di non conoscere neanche la città in cui viveva. C’erano tante cose belle e interessanti da vedere, ma Lei “non aveva tempo”.
Chiaramente, anche se le sue giornate erano di ventiquattrore, come quelle di tutti gli altri e i giorni erano scanditi dal calendario, com’era anche questo per tutti gli altri, Lei era spesso in ritardo e sovente le capitava di dire: «Oggi è giovedi? Strano… oggi, per me, è mercoledì». Il suo tempo non girava con quello degli altri.
Aveva una figlia, ormai cresciuta, che secondo Lei non era stata capace di gestire bene il suo tempo. «Ah, se avesse dato retta a me… invece no! É testarda orgogliosa e caparbia e fa sempre quello che le pare!»
Sua figlia era così carina da piccola! Crescendo, poi, era diventata una bambina curiosa. Faceva sempre domande, voleva sapere la ragione di tutte le cose. La vedeva spesso persa dietro sogni fantastici; Lei sapeva che questo l’avrebbe portata a soffrire.
Avrebbe voluto aiutarla, ma era cresciuta in fretta e, con quel carattere forte e orgoglioso che possedeva, ci si scontrava spesso. Anche quando era diventata una donna, non avevano trovato il linguaggio giusto per poter comunicare, fino in fondo. Che si volessero bene, era palese, ma ogni volta che si scontravano, tutte e due lo mettevano in discussione.
Ognuna si chiudeva nel proprio guscio. E ciascuna si ritrovava a cozzare contro l’ostilità dell’altra.
Questa sua figlia “perdeva un sacco di tempo” a guardare il mare e ad ascoltare la musica, faceva un sacco di cose, alcune anche sbagliate, ma dopo ogni errore ricominciava da capo e ne usciva più forte… Non si vergognava nemmeno di piangere davanti agli altri, non si vergognava di esprimere le proprie emozioni.
Lei pensava: «Ma quelle sono cose private!» E poi aveva il “maledetto” vizio di scrivere; fin da bambina era ossessionata da questo.
Scriveva lettere, aveva un diario privato e in camera sua c’era sempre qualche foglietto scritto, a volte vergato anche di notte. E quando litigavano, Le lasciava lettere di fuoco alle quali Lei mai rispondeva: «Inutile sprecare tempo… per discussioni adolescenziali!», diceva la donna che non aveva tempo.
A volte, Lei andava a leggere il diario segreto di sua figlia: «Non c’era altro modo per sapere quello che sua figlia faceva o pensava». Peccato dimenticasse che sogno e realtà si confondono nei pensieri di una adolescente, sempre farciti di fantasie, ché è ben difficile scindere la realtà dal sogno, se non se ne conoscono le chiavi di lettura.
E i loro rapporti diventavano sempre più difficili.
E anche ora, che era un’adulta, sua figlia continuava a scrivere.
Talvolta leggeva le sue poesie; erano piene di immagini estatiche, dove si ritrovavano il sole, le nuvole, il mare.
Nascosta nel suo guscio privato, Lei si lasciava andare e si commuoveva .
Ma a volte la odiava quasi. Aveva avuto l’ardire di scrivere di Lei.
Credendo di farle un regalo, aveva scritto qualcosa che aveva chiamato “libro”. Sarebbe stata anche una bella storia, se avesse parlato di altri. C’erano immagini poetiche e faceva anche commuovere. Ma “quello” parlava di Lei.
Se avesse potuto, lo avrebbe bruciato. Non sopportava di essere descritta così ingenua, quasi debole e indifesa. Ci aveva messo una vita a crearsi una corazza, che la difendesse dalle guerre della vita e quella stupida l’aveva messa in piazza e mostrato il suo lato nascosto!
Ma ancora una volta, non aveva tempo per discutere.
Lei aveva eretto tra loro un altro muro ed era andata oltre.
Peccato, però, che non avesse avuto il tempo di leggere bene quel libro.
C’erano tante cose scritte, nascoste tra le virgole, solo per Lei.
Se avesse letto tra quelle righe, in quegli spazi che si formano tra una parola e l’altra, avrebbe trovato dei messaggi, come quelli in bottiglia lanciati dai naufraghi, che una volta davano, un’altra chiedevano amore.
Continuò così a correre, senza mai trovare il tempo per fare quello che voleva. Rimandando tutte le cose belle che avrebbe potuto vivere e vedere.
Purtroppo, un giorno, all’improvviso, si rese conto che il suo tempo era finito. Si rese conto di quanto ne avesse sprecato a fare cose che “doveva” e non cose che “voleva” fare.
Quanto avrebbe voluto poter dimostrare la dolcezza che aveva dentro, i suoi sogni segreti! Quanto rimpianto le dava il ricordo delle poesie che aveva scritto e bruciato! Perché anche Lei era… come sua figlia.
Non aveva più il tempo di dire: «Ti voglio bene» a sua figlia.
Cominciò a piangere e quelle lacrime impiegarono tutto il tempo del mondo a scendere sul suo viso.
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