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Lettera del 22.04.05. (a Franca)

C'era una volta un ragazzo, lunghe chiome e vestito pressappoco di stracci, che claudicava nella notte. La notte spossata, e già inquinata allora, della metropoli sporca e offesa che dormiva sotto le sue sporche stelle. Era appena uscito dalla casa di una ragazza, non di un'amante, un po' "paffutella" se vogliamo, ma dallo sguardo così profondo da appunto sprofondarci dentro e nuotarci calmi, come alle terme.  La casa dove l'aveva salutata coltivava la morte, "inseminata" al solito vigliacco modo nelle membra di suo padre, gran brava persona, come me lo ricordo, incalzata da queste tenebre ingiuste e troppo giovane ancora.
Mi ricordo di tutto questo dolore, perché eravamo giovani, appassionati e grondanti sentimenti grandiosi ma enigmatici alle nostre fresche intelligenze. Perché in queste tali vite il diavolo ama metterci la coda di traverso, facendole precipitare... eravamo giovani e infelici, era questo l'incanto.
Ma la maledetta città perseguita, abbrutisce quelli che provano qualcosa, così quel giovane d'altre età aspettava l'autobus alle due del mattino e arriva invece un mentecatto in macchina e gli gesticola cenni idioti, come a una che batte. Viene redarguito come merita e se ne va a farsi fottere altrove. Ma ha inoculato nella nera notte di passione la sua fetente mediocrità, che resterà lì per sempre, come una macchia irreversibile sull'unità di luogo e tempo. E i due ragazzi non si videro mai più.
Tanti anni dopo passai e ripassai ancora di lì, su quella piazza del Nomentano, perché mio fratello abitava nei dintorni, e ogni volta non potevo fare a meno di recuperare mentalmente quell'immagine demoralizzante del "finale" che quello sconosciuto imbecille aveva impresso a quella storia. Ma poi mio fratello morì giovane, nel 2003, e tutto discese e anzi cadde nella dimenticanza...
 

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