Scritto da © Bruno Amore - Ven, 15/06/2012 - 08:21
Non è una locuzione mia, pare sia di gergo genovese, usata, prosaicamente, in psicologia e tradotta nel lessico dialettale di molte regioni in “cazzate”, “minchiate”, ecc.
Pare ce ne siano, fondamentalmente, di due specie: quelle positive e quelle negative.
Sono una persona comune, quindi non posso che esserne succube anch'io, in qualche misura, come pare lo siano tutti. Parlerò delle mie, naturalmente.
Cominciai a farmele (non trovo termine più esaustivo) sin da piccolo, nel considerare andare a scuola, una assoluta ingiustizia esistenziale. Costrittiva e coercitiva della libertà personale, inutile sotto l'aspetto pratico, talché ne fui da subito un frequentatore melenso. Ritenevo che iniziare col fare il garzone del fornaio, del falegname, del meccanico...ecc., fosse il miglior viatico per diventare “grande”, il resto l'avrei imparando cammin facendo. Poi i calzoni si fecero sempre più corti, stretti no: te li confezionavano a futura crescenza; e cominciai a farmi quella che un mestiere valeva un altro, che le professioni erano fatte per chi non aveva voglia di sporcarsi le mani o poco coraggio per ribellarsi ai genitori che costringevano ad andare a scuola. E la prima volta, sempre colpa delle donne, che affrontai una di un giro che non era il mio, sbattei il grugno contro un lessico che non capivo e che lei usava scioltamente e senza farlo pesare. Cavolo! qui cominciai a farmi la prima “positiva”: mi misi in testa che era fondamentale essere colto. Presi a leggere qualsiasi cosa, quasi spasmodicamente, sapete come quando si dice “leggere anche l'elenco telefonico”, facendomi una testa tanto, con cognizioni le più disparate, senza disciplina o finalità specifica. Qualcosa mi restava e cominciai ad apprezzare il fatto di sapere, qualcosa, almeno. Ma intanto, senza neanche accorgermene, mi stavo facendo una di quelle “cattive”. Elucubravo, sempre più, sulla mia inadeguatezza al consesso sociale, colpevolizzandomi per la mancata capacità di impegno, condannandomi – senza appello – ad una mia impossibilità di essere altro da quello che mi trovavo ad essere al momento: insoddisfatto, sempre. Però sognavo – e sogno – oh...si! questo si. Era ed è, un farmaco portentoso e sotto un certo aspetto, poteva e può ancora essere, una di quelle positive, visto che inventavo e invento, progettavo e progetto ma, diventava presto “negativa” dato che prevalentemente, aspettavo accadesse qualcosa che io, ci risiamo, non trovavo la forza di determinare.
Ora, credo di farmene una positiva: scrivo “poesie” e “brevi racconti”, come questo e, per adesso, godo: come il classico porco.
Non è una locuzione mia, pare sia di gergo genovese, usata, prosaicamente, in psicologia e tradotta nel lessico dialettale di molte regioni in “cazzate”, “minchiate”, ecc.
Pare ce ne siano, fondamentalmente, di due specie: quelle positive e quelle negative.
Sono una persona comune, quindi non posso che esserne succube anch'io, in qualche misura, come pare lo siano tutti. Parlerò delle mie, naturalmente.
Cominciai a farmele (non trovo termine più esaustivo) sin da piccolo, nel considerare andare a scuola, una assoluta ingiustizia esistenziale. Costrittiva e coercitiva della libertà personale, inutile sotto l'aspetto pratico, talché ne fui da subito un frequentatore melenso. Ritenevo che iniziare col fare il garzone del fornaio, del falegname, del meccanico...ecc., fosse il miglior viatico per diventare “grande”, il resto l'avrei imparando cammin facendo. Poi i calzoni si fecero sempre più corti, stretti no: te li confezionavano a futura crescenza; e cominciai a farmi quella che un mestiere valeva un altro, che le professioni erano fatte per chi non aveva voglia di sporcarsi le mani o poco coraggio per ribellarsi ai genitori che costringevano ad andare a scuola. E la prima volta, sempre colpa delle donne, che affrontai una di un giro che non era il mio, sbattei il grugno contro un lessico che non capivo e che lei usava scioltamente e senza farlo pesare. Cavolo! qui cominciai a farmi la prima “positiva”: mi misi in testa che era fondamentale essere colto. Presi a leggere qualsiasi cosa, quasi spasmodicamente, sapete come quando si dice “leggere anche l'elenco telefonico”, facendomi una testa tanto, con cognizioni le più disparate, senza disciplina o finalità specifica. Qualcosa mi restava e cominciai ad apprezzare il fatto di sapere, qualcosa, almeno. Ma intanto, senza neanche accorgermene, mi stavo facendo una di quelle “cattive”. Elucubravo, sempre più, sulla mia inadeguatezza al consesso sociale, colpevolizzandomi per la mancata capacità di impegno, condannandomi – senza appello – ad una mia impossibilità di essere altro da quello che mi trovavo ad essere al momento: insoddisfatto, sempre. Però sognavo – e sogno – oh...si! questo si. Era ed è, un farmaco portentoso e sotto un certo aspetto, poteva e può ancora essere, una di quelle positive, visto che inventavo e invento, progettavo e progetto ma, diventava presto “negativa” dato che prevalentemente, aspettavo accadesse qualcosa che io, ci risiamo, non trovavo la forza di determinare.
Ora, credo di farmene una positiva: scrivo “poesie” e “brevi racconti”, come questo e, per adesso, godo: come il classico porco.
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