Scritto da © Fausto Raso - Gio, 30/06/2011 - 12:16
Gli urli del professor Bissoni rimbombarono in tutti i corridoi della scuola: il solito Carlino ne aveva fatta un'altra delle sue. In una ricerca di storia aveva scritto, affidandosi alla fantasia, che le nozze morganatiche sono così chiamate dal nome della fata Morgana perché si celebravano in un'isola paradisiaca, sotto l'alto patrocinio, appunto, della fata Morgana (mitica figura medievale). Sulle prime il professore fu preda di uno scoppio di ilarità, poi di un accesso di rabbia ripensando alle sue fatiche che - per la mente di Carlino - erano andate sprecate; infine ritornò in sé e pazientemente riprese a spiegare.
Con il termine "morganatico" si indica, innanzi tutto, il matrimonio contratto tra due aristocratici di rango diverso: lo sposo dà alla consorte non la mano destra, sibbene la sinistra; il coniuge di rango "inferiore" non può assolutamente partecipare agli onori dell'altro coniuge: i figli nati da un matrimonio di questo tipo non possono succedere nei titoli e nei diritti di quest'ultimo (nobile di rango inferiore).
Tale termine deriva dal tedesco "morgen gabe" (dono del mattino), divenuto in latino medievale "morganaticus". Questo regalo era così chiamato perché il mattino successivo alle nozze il marito - in presenza di parenti ed amici - faceva alla moglie un "dono" con il quale attestava l'onorabilità della sposa. In caso contrario poteva essere ripudiata.
Con il trascorrere del tempo e soprattutto attraverso il cristianesimo l'istituto si trasformò: aumentò l'entità del "dono" che fu regolata da un'apposita legge e infine scomparve perché la Chiesa non ammette l'eventuale ripudio. Nell'età moderna questo tipo di nozze - non menzionate nel "Codex iuris canonici" - trovò applicazione soltanto tra le famiglie regnanti. Da rilevare, ancora, che prima della "scomparsa" di questa istituzione il dono morganatico divenne una contropartita che il marito offriva alla moglie di secondo letto e ai suoi figli con il patto, però, che ad essi non sarebbe spettato null'altro delle sue sostanze.
A questo punto, qualche ‘navigatore’ appassionato di linguistica si domanderà perché abbiamo scritto "urli" del professor Bissoni e non "urla". Il plurale di urlo non è - come molti credono - indifferentemente "urli" o "urla". C'è una notevole differenza: "urli" riferito agli animali e "urla" riferito alle persone. Avremmo dovuto scrivere, quindi, le "urla" del professore. La "legge" grammaticale stabilisce, però, che il plurale di urlo è "urli" se riferito a una singola persona; "urla" se riferito a più persone, cioè collettivamente. Diremo, per tanto, "gli urli" di Giovanni e "le urla" degli amici. Stesso discorso per quanto attiene al plurale di grido: "i gridi" di Giovanni, "le grida" dei fanciulli.
Fausto Raso
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