Vallata dell'Ortigara 27 Maggio 1917
Rilevai Ferretti alle quattro e dieci. Non era proprio il mio turno, ma Valle era un anziano del settimo scaglione e a uno che si fa una polveriera a venti giorni dalla fine bisogna almeno risparmiargli il turno di notte, e così il caporale svegliò me, che ero solo del secondo. Muto e compresso e allucinato dal sonno, con il fucile su una spalla e la coperta sotto braccio, lo seguii fino al cancello che chiudeva la Zona Attiva e salii da solo per il sentierino che portava alla mia altana, la numero 10, dove Ferretti di certo dormiva, dietro al fucile che spuntava dalla feritoia. Invece no, non dormiva.
"Alt! chi va là!" urlò nel silenzio frusciante della notte e io, col fiato troncato dai gradini di pietra troppo alti, sorrisi, senza rispondergli.
"Alt! chi va là!" urlò di nuovo, più cattivo, e allora mi fermai, silenziosamente ansante e un po' preoccupato.
"Ohè, non fare c...!" dissi forte, agitando un braccio, "sono io... guarda che salgo..."
Mi arrampicai sugli ultimi gradini e arrivai nello spiazzo terroso e spelacchiato su cui si alzavano le gambe di cemento dell'altana. Ferretti stava scendendo in fretta, vedevo il suo sedere ondeggiare sulla scaletta di metallo, dritta, con l'elmetto appeso al cinturone che sbatteva contro la ringhiera. Saltò a terra accanto a me, col fucile stretto lungo il fianco e il basco di traverso. Era pallido, e aveva gli occhi spalancati, ancora più allucinati dei miei.
"Ti sei svegliato male?" gli dissi, "..se lo sapevo ti lasciavo dormire."
“Fottiti” fu la sua risposta sottovoce. Ferretti sapevo che non era uomo di molte parole, lui non sprecava mai il fiato in inutili spiegazioni, si esprimeva con poche parole e corti concetti per essere sicuro di essere capito. “Fottiti” ripeté. Si allontanò lentamente sempre con quell'andatura barcollante, palpando il muro di cinta e scomparendo nell'oscurità.
In effetti non c'era bisogno di parlare molto. Non c'era niente da dire in quel posto che anche la luna odiava. Salii su quella scaletta metallica sfasciata dall'umidità raggiungendo la postazione di guardia. Lontano sull'orizzonte c'erano delle strane luci nel paese che si accendevano e spegnevano sincronizzate con il rumore dei passi del Ferretti che tornava. Dopo poco raggiunse la base della guardiola e appoggiandosi sull'unico passamano che era rimasto mi chiamò.
“Baldini !” “Baldini !”
“Che c.. vuoi !” e mi sporsi lentamente sul bordo della balaustra.
“Sessa vuole mandare un uomo a Roana, ci sei te, Bertuccelli, D'Amico e Nardini ” Disse con tono perentorio e guardando nello stesso tempo quella lurida mano che si apriva dito dopo dito. Stavo per chiedergli perché lui non compariva sull'elenco degli eletti ma mi anticipò.
“Non rompete le p.. . Li abbiamo sentiti grugnire “Sind sie bereit” così rimango qui col Sessa non si sa mai...”
Mi rialzai appoggiandomi sul bordo roccioso della guardiola attendendo la prossima novità. Notavo che quella maledetta valle non aveva odore, o forse ero io che non sentivo più nulla. Osservavo l'orizzonte in quel buio spaventoso, cupo, senza suoni dove solo le ombre sembravano prendere vita.
Ma è una strana vita quella, loro così eteree, lente, spossanti. Sentivo le rocce che si muovevano e il ciglio di quelle colline mute che cambiavano e mutavano in caleidoscopiche figure grigie e vedevo bocche e strani occhi e anche le parole che uscivano da labbra stilizzate. Ma poi i suoni , maledizione, i suoni ... c... i suoni . In quel posto non si sentiva nulla. Ma proprio nulla .!In quella notte c'era un silenzio .... un silenzio.... il silenzio ..della fine.
Mi spostai di lato appoggiando quella specie di schioppo per lucertole sul fianco cercando di mettermi comodo per riposare. Dopo quel turno, mi toccava quello della fossa.
4 giugno 1917 16:30
Ero ancora nella guardiola di quella maledetta trincea e la vallata era sempre li : umida, melmosa, viscida, gocciolante. Presi la rete mimetica e la posizionai meglio sopra quella specie di palpebra metallica che mi sovrastava e che riparava lo sventurato di turno. Io. Quel giorno però Ferretti era stato più sventurato di me perché il terzo turno dalle dodici alle quattro era notoriamente il più massacrante.
Presi lo schioppo e lo puntai nel vuoto. Sparo ? Non Sparo ? Certo che la mente è davvero strana. Girando con la testa guardavo ancora il confine fra i tubi dell'altana. Se mi alzavo un poco, appoggiandomi sul palmo delle mani, modificavo la vista in modo che la linea del tubo seguisse il bosco di pioppi, lecci, faggi e poi ancora più in la il bordo dell'altopiano che divide la vista in due in eterna contesa con il cielo sopra stante.
Seguivo il bordo del crinale, dove ero appoggiato, con i polpastrelli della mano e sentivo la terra che scivolava piano sino ad un punto morbido. Una radice. La sfiorai con il dito sin dove la terra l'avvolgeva compatta e con piccoli movimenti cercai di liberarla lentamente dai piccoli grumi di fanghiglia fin quando la terra si faceva più compatta.
Una terribile fitta di dolore dalla mano mi impedì di proseguire. Scossi l'arto dolorante e poi lo chiusi sulla appendice della pianta rimasta scoperta, proprio come una tenaglia. Diedi un primo strappo poi un leggero movimento circolatorio e poi un secondo strappo ma la radice non cedette. Insistei con un altro movimento ma poi un crampo mi obbligò a desistere e un nuovo taglio al dito mi risvegliò definitivamente da quella ossessione.
Ferretti si avvicinò di nuovo alla balaustra e mi allungò una busta sporca di terra e fango dello stesso color trincea che mi sommerge. Il Ferretti era un toscano come me. Lui era di Lucca di buona famiglia ed era davvero ricco. Già ma la guerra non guarda da che famiglia vieni e non sa quanti terreni hai. Aprii la tasca e tirai fuori un contenitore di metallo con dentro del cordiale che il Bianchi aveva preso dalla dispensa due giorni or sono.
Ne bevvi un sorso veloce, ma lo sputai per terra subito dopo, sboccando per il disgusto. Aprii la busta, con malcelata curiosità. Feci quel gesto con un certo tono anche perché ero uno dei pochi nel paese che sapeva leggere. Mia madre sono sicuro era andata da uno studiato ( così erano chiamata la gente istruita nel paese.. gli studiati ), forse Vincenzo il dottore, per scrivere quelle righe al suo primo figlio. Solo lui poteva scrivere con quella calligrafia.
Per un momento immaginai che la lettera potesse profumare e così la avvicinai al naso per poi allontanarla ancora disilluso. Nessuno osava disturbarti quando si ricevevano le lettere perché quello era forse l'unico momento dove la guerra smetteva di esistere, davvero. Così leggevo assorto quelle frasi che in realtà non è che capissi molto, ma quello era un momento che non volevo perdere. Qualcuno tempo fa mi aveva raccontato, una incredibile storia, accaduta, dice lui, dall'altra parte del confine.
La storia diceva che quelli di la non erano dei mostri. Durante l'attesa, quelli di la, sono venuti e ci hanno abbracciato portandoci doni. Ma la storia diceva che era natale... c.. in quel momento eravamo a giugno e non c'erano feste comandate. Poi pensai alla masnada di sventurati che mi circonda ( Sessa compreso ) e a quel tale che mi disse, filosofeggiando, che un male condiviso era un male dimezzato, così sorrisi, malinconicamente. Guardai l'orizzonte e giurai che se avessi visto una testa la facevo saltare. Qualcuno, evidentemente, ascoltò i mie pensieri così l'attesa durò poco. Ferretti prese a correre verso la zona 3. Veloce. Veloce. Sempre più veloce.
“Arrivano ... Arrivano c.. ” mi abbassai sulla pedana sentii i primi colpi. Le pallottole sibilarono e la polvere si alzava, sopra di noi e tutto intorno a noi.
“Presto. Presto Baldini !” mi urlava. Scesi dalla guardiola cascando per terra.
“Posto 2, Posto 2” avevo ancora il fucile in mano, carico, il basco perduto, la faccia umida e il dolore per la caduta, alla fine eravamo tutti li insieme davanti al nemico. Su con lo schioppo. Eccoli, stanno arrivando.
“50 metri c.. 50 metri” urlai. Bertuccelli correva con le munizioni.
Prendi la mira Baldini .... Baldini prendi la mira... Uno colpito. Due colpito. Tre colpito.
C.. non manco un colpo. Bertuccelli arrivò con la seconda mandata con altre cartucce e delle bombe.
“Te ne do 4 al via le butti proprio li davanti al secondo reticolato” disse, porgendomi 4 bombe a mano.
Fece la stessa cosa con il resto della gualdana che venne armata in modo simile. Non so se sarà passato un minuto, forse dieci, e alla fine ricevetti il via e da li ci furono 40 bombe a mano che volarono, in una lenta parabola dove al termine di essa si delineo una nuova linea di fronte.
Le esplosioni erano assordanti e per 10 secondi non sentii più nulla e non vidi più nulla. Solo spruzzi di polvere e fango che ancora ricoprivano tutta la trincea, mi bruciavano gli occhi e avevo ancora quel dolore al fianco che non mi avrebbe più lasciato. L'attacco durò un paio d'ore ma li respingemmo agevolmente ammazzando ancora un paio di quelli.
“Fermi li crucchi di m... Qui ci siamo noi. Avete già fatto una c.... non fatene un'altra”
Bertuccelli, come un ossessione, mi comparve da dietro le spalle. Appoggiò una mano su di me e io esausto , dalla tensione, mi girai sedendomi su quella terra umida e fangosa. Non ne potevo più. Lui senza sorridere mi disse “Va bene ancora 10 minuti . Poi ti aspetta la fossa...”
Erano quelli i miei ultimi giorni di vita ? Mi chiedevo continuamente quante ore o forse minuti avevo ancora da vivere. Però la morte non mi faceva paura ma anzi c'era qualcosa che mi incuriosiva. C'era qualcosa della morte che mi attraeva ed era come se mi avessero fatto un diabolico incantesimo.
5 giugno 1917 12:05
Il Bianchi chiamò uno ad uno tutta la milizia, per il rancio e io scesi lentamente, oscillando su quella scala decrepita, dal solito altare di guardia. Mi rimisi un attimo in sesto tirandomi su i pantaloni che per la posizione assunta mi erano calati da una parte scoprendo parte del deretano. Raggiunsi la bracerie dell'Ortigara in fondo alla seconda trincea e presi quella gavetta che al tatto era piacevolmente asciutta.
Mi allontanai cercando una insenatura in quel muro di ciottoli dove poter mangiare in serena solitudine. Con la mano meno dolorante alzai il coperchio e guardai la svelata soupe d'onion. Una cipolla maciullata, degli erbi di campo, crescione, radicchio e un nauseabondo odore di finocchio selvatico.
Ebbi un conato liberatorio che mi tornò utile per trovare il coraggio di prendere il mezzo cucchiaio dalla tasca della camicia e iniziare a rovistare in quella brodaglia melmosa color trincea. Non era la prima volta che sentii la fame anche a casa qualche volta saltammo il pasto però dalle mie parti abbiamo il bosco lui qualcosa ti dona sempre, sapete, un po' come la provvidenza.
6 giugno 1917 9:30
Anche quel giorno dovetti tornare in quel buco del c.. Dovevo tornare in quella fossa puzzolente per continuare a scavare. Sessa diceva che avevamo ancora due giorni di lavoro ma quella volta sarebbe stata davvero una bella sorpresa per quei crucchi di m.. Di solito le missioni più importanti venivano sempre celate ai soldati ma quella volta non era possibile occultare quel bidone di esplosivo da 300 Kg. Dopo aver fatto saltare la trincea nemica passeremo finalmente all'attacco e li sconfiggeremo, dopo mesi di attesa passiva. Ma Sessa lo vedevo davanti al buco dubbioso. C'era qualcosa che non tornava. Arrivo Bogazzi e parlarono.
Bertuccelli ritornò per il suo solito giro e mi disse.
“Baldini. Laggiù fra la 2 e la 3 ha ceduto la sponda c'è da pulire e rifare l'argine”. Mi dette una botta sul braccio e continuò la sua perenne corsa.
Sessa ancora guardava il buco perplesso.
“Senti un po. Ma quanto lo avete fatto largo questo buco.”
“Un metro....” disse Bogazzi
“Un metro ?” Sessa aprì le mani seguendo il bordo del buco, contando lentamente palmo dopo palmo. “uno due tre ... quattro... Se sono più di 80 cm mi mangio la testa di una scimmia. Chiamami Bertuccelli ”
C'era un po di tensione nell'aria. Dopo qualche minuto Bertuccelli era a rapporto dal Sessa. Lui era l'unico che riusciva a sopportarlo quello s.. .
“Ma quanto lo avete fatto largo il buco” ripeté “Alto quanto il manico della vanga. Capitano”
“Ma ... lo avete fatto largo quanto il bidone !!!”, Bertuccelli rimase immobile rendendosi conto dell'incredibile errore commesso. Trecento chili di esplosivo non si potevano trascinare in quel buco senza una slitta sui binari che trasportassero il fusto.
Avevamo fatto una galleria di cento metri e adesso dovevamo riallargarla di altri 50 centimetri per farci passare anche la slitta sottostante. In fondo alla trincea c’era una cassa contenente appunto la mini rotaia da inserire nella mini galleria.
“Bertuccelli. Io non le dico cosa le succede se entro giovedì quella mina non è in fondo a questo buco”
Sessa partì piano come un esperto oratore e in un continuo crescendo fini urlando con gli occhi aperti, allucinati, sgranati
“Ha capito! Avete un giorno per rifarlo questo buco”
Sessa non diceva mai parolacce e nemmeno allusioni ai suoi subalterni
“In un giorno dovete allargare questo buco per farci passare tutta quella roba li. Altrimenti sa già in quale buco finisce....”
.... e quella fu un eccezione.
Si allontanò furioso colpendo con una mano le 4 pale che stavano al di la del ciglio e sentii che diceva sottovoce “banda di idioti, c.. teste di c...”
7 giugno 1917 6:35
Bertuccelli abbassò lo sguardo. E venne da noi... quelli che lavoravano.
“Sono cento metri, abbiamo 5 vanghe. Una a testa. Uno ogni 20 metri. Io vado in fondo e allargo gli ultimi 20 metri....” si interruppe un attimo. Ancora spari e ci girammo verso la guardiola più vicina. C'era Lombardi su che con la mano bassa fece un cenno rassicurante.
“ ... il quinto trascina la slitta e voi fate il resto”
Bertuccelli era un grande. Non diceva mai chi doveva fare cosa e non ci insultava mai. Non faceva mai i nomi di nessuno solo cenni con la testa in direzione del malcapitato. Per questo Sessa lo voleva sempre al suo fianco era per antonomasia l’uomo fidato.
Entrammo uno dietro l'altro strisciando e iniziammo l'infimo lavoro. Poi un primo colpo, poi un altro e di li a poco un nuovo attacco degli Austriaci. Dentro il buco non si sentiva molto e tutti i rumori erano attenuati, diventavano come dei tonfi sordi ma con la mente immaginavo quanto forti e devastanti dovevano essere nella realtà.
Per quanto assurdo potesse essere lì in quel budello a scavare melma e rocce avevo la strana sensazione di essere protetto e sicuro. Lavorammo per 3 ore poi il segnale fuori tutti. Ora si che avevamo un problema. Appena raggiunta l'apertura non ci volle molto per capire che la trincea era invasa dal nemico. Mi chiesi se loro si erano accorti del nostro piano, ma non feci in tempo a rispondermi perché davanti a me quella figura d'uomo in movimento si girò guardandomi e notai chiaramente il mutare dei lineamenti nel suo viso che diventarono pieni di ira e odio verso di me.
Era un austriaco con cappotto, spingarda, borsa di assalto elmetto cromato e in più tutta l'intenzione di non farmi fare ulteriori movimenti. Notai il coltello, lungo il fianco, sembrava una daga romana e lo vedo scintillante, ben visibile. Che emozione erano gli ultimi respiri di vita, ecco lo sapevo quello era il momento che aspettavo da tempo. Alzai la testa e guardai le gocce di acqua scendere dal cielo. In quell'attimo di parziale lucidità mi venne in mente quella cosa che immaginavo tutte le notti.
Cosa è la vita in quella frazione di tempo che la separa dalla morte ? Nel trapasso diventa una luce ? Un colore ? Io invece dalla morte volevo qualcos'altro volevo rubare l'odore. L'ho capito guardando i miei compagni. Tutti prima di morire chiudono gli occhi proprio per non lasciarsi distrarre. Nella morte non c'è nulla da vedere ma solo da sentire ed ascoltare. Intanto quello era solo un momento di tempo che si dilatava a dismisura ma non abbastanza. C'era un altro austriaco da dietro che mi diede un colpo sulla testa con il calcio del fucile e barcollando andai avanti verso l'altro austriaco e poi sentii la lama affondare nel ventre e ancora un colpo e poi uno sparo. Delle urla assordanti “Baldini, Baldiniiiii !!!”.
L'austriaco davanti a me cade per terra spruzzando fango e sangue e la terra diviene subito rossa, all'impatto, da quel corpo colpito a morte. Cado anche io di lato e vedo la lama uscire di nuovo con un colore rosso vermiglio luccicante. “Accidenti” penso “mi ha passato da una parte all'altra” e intanto Bertuccelli, ancora lui, compare da dietro. Una smorfia di dolore ricopre il mio viso ma respiro e sento, si sento, mentre tengo in mano il manico del coltello adesso parzialmente affondato nelle viscere. Voglio morire.
Chiudo gli occhi con una mano faccio un cenno agli altri perché so che vogliono soccorrermi. Lasciatemi stare, andate pure, so quello che faccio. Non sento nulla accidenti la morte non ha nessun odore. O forse no... mi sbaglio sento qualcosa di acidulo ... come di limonato.....Quello che invece, davvero, non capisco e che nonostante abbia gli occhi chiusi riesco a vedere. Vedo tutta la mia vita, il letto, i viaggi, i ricordi più lontani mi passano davanti, incredibilmente, tutta la mia vita in pochi attimi e poi la luce piano piano si spegne ... lentamente.
Voci e lamenti suoni sincroni scandiscono eventi e sono la prova di un tempo che scorre. Perduto. Il continuo dolore annulla, cancella sconfigge, ma poi cosa , cosa avrei dovuto difendere? Cosa credevo ? Cosa volevo da me stesso ? Le luci si spengono e si accendono in un anestetico balletto che si protrae all'infinito finché il vanesio piacere non ti stanca (pure quello) e pensi di tornare. Li. Un amico mi disse che un matto ha più domande di quanti 100 savi abbiano risposte, ed io così tagliai via i pensieri con rasoiate di occamica natura, cercando di uscire da questo incubo. Era il tempo la chiave di tutto, il tempo che pensavo di possedere ed invece ne ero posseduto.
Dedicavo tempo a cose e persone con la delirante presunzione di chi pensa di usarlo a suo imprescindibile uso e consumo. Invece anche i soli pensieri prendevano tempo e spesso era tempo perso a cercare giustificazioni e motivi in un passato che non esisteva più e che molte volte non era mai esistito.
La vita è fatta di lunghe attese fra momenti importanti per questo dovevo imparare a vivere quelle attese, proprio per non sciupare quei “momenti” che sarebbero avvenuti.
Spiegare chi siamo ? Noi ? Il nostro multiplo ? Oppure spieghiamo una delle nostre proiezioni in questo teatro della nostra vita ? La realtà è solo illusione, come quella che abbiamo quando cerchiamo di dare un tema cosmico alla nostra vita legando momenti fra di loro separati (addirittura nello spazio e nel tempo) come se fossero la trama di un racconto.
E' una pura e semplice illusione cercare di capire la storia del nostro passato e solo una comoda speculazione che sfruttiamo per dare un senso al nostro presente. Sono queste le masturbazioni mentali che ci creiamo e che ci obbligheranno ad una vita da incubo al di fuori della realtà ? Quasi mai siamo davvero obbiettivi con la nostra storia passata figuriamoci con quella degli altri. La vita come sogno, sognare una realtà, evadere la realtà tutte caratteristiche del pensiero debole, me tapino.
La vita va considerata come ripetizione ciclica dei giorni che si sommano alla stessa stregua di un peso legato ad una corda agganciata a Dio sulla cupola di una chiesa che crea magiche relazioni nel suo movimento oscillatorio.
Si. La vita come un pendolo che piano piano smette di oscillare e li in quel punto preciso esattamente alla metà smette di vivere.
Si. La vita come vibrazione, come stringa in perenne oscillazione e che crea calore nel movimento quantico della materia. E la mente genera vorticose realtà che non esistono e che sono pulsioni di eventi scriteriati.
I fantasmi sono nella nostra testa e fanno diventare mostruosità le vite degli altri? Pura follia quella di prestare attenzione anche nel dare il giusto valore al tempo che utilizziamo? Che valore diamo al tempo speso nel guardare la pioggia in un tardo pomeriggio invernale sotto un cielo plumbeo variegato e magari con qualche tuono lontano ? Ci hanno fregato sostenendo che il tempo è denaro invece, se non fosse abbastanza chiaro, il tempo è vita. Ancora colori che danzano su sentieri di luce trascendenti, immanenti, abbaglianti. Sono i colori dei fiori che esplodono e tramutando si evolvono e non ritornano mai più, cosi come l'acqua che vedi passare fissando la riva del fiume. Alla fine pure lui si confonderà nel mare... scomparendo senza lasciare tracce del suo cammino.
3 Novembre 1917 9:30
Mi sveglio colpito da questo taglio di luce che fende la stanza sino al letto dove ho dormito. Apro gli occhi. Credo di avere la febbre ma non ne posso più di rimanere in questo giaciglio di cartocci. Sono nel dubbio perché vorrei alzarmi mentre quel taglio di luce si sposta lungo tutto il letto. Alla fine dolorante ruoto il busto sino ad assumere una posizione semi eretta nel bordo dell'alto talamo e poi appoggiandomi al muro laterale puntai le gambe sollevandomi nel dolore estremo.
Dopo aver attraversato la stanza apro la porta di casa e uscendo sento quel fastidioso freddo pungente che attraversa tutti i cenci di cotone di cui ero ricoperto. Barcollando prendo un bastone per sostenere le mie deboli membra e supero l'aia davanti casa mia.
Mi dirigo verso l'uscita attraverso il cortile sino alla strada e con lo sguardo percorro con occhi curiosi tutta la linea di confine del crinale montuoso che ho sulla destra e che si separa da quel cielo così azzurro. Sotto quel crinale il mio il bosco di carpinesi che ricopre la scollettatura e che mi aveva fatto tanta compagnia nei miei giorni di infanzia.
Mi giro , ancora , e vedo mia sorella che era in fondo all'orto. Lei a sua volta alzando la testa mi riconosce e mi sorride salutandomi con un cenno della mano. Chissà perché li mi venne in mente un tale che mi disse "Ricordati figliuolo: un bene condiviso è un bene raddoppiato".
Il mio passo era si davvero lento ma sono allietato da quella specie di massaggio che la luce del sole ti fa sulla pelle riscaldando prima un punto, poi l'altro, penetrando dolcemente nella mia martoriata cute.
Raggiungo la curva e così come immaginavo vidi la fonte d'acqua che ancora sgorgava libera e il suo suono melodioso mi rilassava mentre mi avvicinavo col mio passo claudicante. Mia madre era andata a fare il carbone, mio padre forse era in paese ( Camaiore ) al mercato della piazza centrale, per vedere se si riusciva a trovare un po' di farina di grano. Sono ritornato a casa. Sono ritornato a S.Anna e sorrido. Vivo.
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