Scritto da © Hjeronimus - Ven, 06/04/2012 - 18:50
Prendendo in considerazione il tentativo rivoluzionario di Robespierre- un evento che induce un fascino maligno sull’osservatore, ossia una sorta di magnetismo inebriante tuttavia imbevuto nella paura, la paura che anche la cultura e l’intelligenza debbano necessariamente inclinare al terrore onde farsi valere- ci si rende comunque conto che nessun “governo dei lumi” è davvero mai possibile. Basta applicare all’oggi, al collasso ecologico che ci incombe sopra, quel “pericolo” dell’intelligenza codificato sia dal comportamento di Robespierre e Sain-Just due secoli fa, che dalla teoria di Marx. Quel “pericolo” ci avverte della necessità del terrore onde ridurre la maggioranza recalcitrante del mondo alla ragione; che senza l’esercizio di quello, è impossibile la predisposizione di questa. Robespierre e Sain-Just previdero che un intermezzo di salutare terrore (il loro si chiamava “comitato di salute pubblica”) avrebbe tolto di mezzo gli ostacoli (cioè la resistenza dei conservatori) che si frapponevano alla costruzione della democrazia. Marx pensò a un necessario passaggio intermedio fra la rivoluzione e l’anarchia, suo luminoso approdo, vale a dire la famigerata “dittatura del proletariato”. Ma la verità è, in ambedue i casi, che non si riesce proprio, neanche con l’uso (un po’ sconsiderato) della violenza, ad andar oltre questo stadio. Per ora, la storia delle rivoluzioni si è sempre arenata lì, all’uso “necessario” della forza.
In nessun modo la ragione e la filosofia possono render conto della storia, se non a posteriori, indagandola, raccontandola. Non mai facendola. Non c’è filosofia in noi come umanità. C’è soltanto in alcuni come singoli, e la storia non è mai la storia dei suoi eroi o dei suoi predatori. È sempre la storia come umanità, la storia delle sue masse. Non di meno, queste praticamente mai hanno ragione: appunto, la ragione è appannaggio di coloro che giammai guidano la storia (o almeno rarissimamente, come nel caso di Marco Aurelio, o di Lorenzo De’ Medici). La storia si muove quindi sul terreno del torto, ossia e sempre dei torti reciproci di qualcuno contro qualcun altro e viceversa. Non avremo mai la Ragione come presidente del consesso umano…
E veniamo a noi: ci troviamo all’alba del collasso ecologico del nostro pianeta. Siamo sull’orlo dell’abisso. Una tempesta cosmica ci attende sulla soglia dell’apocalisse. L’apocalisse sociale ed economica di un mondo ottenebrato dal vitello d’oro della crescita, dell’espansione, dell’arricchimento infinito ed esponenziale del delirio produttivo. Dio ha cambiato faccia, si è tagliato la barba, ha cambiato nome, ha cambiato persino sesso. Ora è una donna, una dea procace e prodiga di promesse. Si chiama: Produzione, e promette la soddisfazione infinita dei desideri umani. Umano, troppo umano è desiderare e nessun alter-ego s’interpone alla overdose di mondo che l’umano si apparecchia a consumare…
Il pianeta Terra è oramai soltanto a un bazzecola dal proprio harakiri. Stiamo per suicidarci, ma sappiamo comunque che disponiamo di un solo ed unico rimedio al male che ci auto-infliggiamo, un solo bene da contrapporgli. E tale bene è la ragione.
E allora come conciliare questa nostra unica risorsa contro l’autodistruzione con quella sua manifesta impossibilità a gestire il consenso, laddove le fosse concesso, senza il ricorso alla violenza? E con la sua manifesta irriducibilità al cinismo, all’indifferenza etica del potere?. Insomma, come salvarci se l’unica ancora di salvezza si chiama “ragione” ed il suo impiego implica comunque una tale resistenza da parte dei suoi avversari da indurla al terrore?
Stavolta tuttavia non c’è via d’uscita: è in gioco il biotopo stesso dell’essere. Se ometteremo l’uso della ragione, da cui l’essere muove, sarà quest’ultimo a essere sconfitto, e la vita, la vita avida e vorace, la vita rea e senza legge, la vita stessa che vuole divorare il mondo, verrà divorata dal suo stesso divoramento, come la mantide insaziabile che, dopo aver mangiato suo marito, comincia a rosicchiare se stessa.
Perciò, aut-aut: o troviamo il modo di indurre alla ragione, stavolta ecologica, chi vi si oppone con le più disparate attenuanti - per esempio, i paesi emergenti ci rimproverano di aver sfruttato in lungo e in largo il territorio, inquinandolo e piegandolo ai nostri interessi, salvo adesso scandalizzarci perché loro fanno lo stesso. Mentre gli Americani se ne infischiano serenamente, ponendo fede nella grandezza del loro “grande Paese”: se è grande, può tollerare un grande impatto ambientale. Logica da salumai, già travolta in questi giorni da una scarica di cicloni raccapriccianti. Insomma, o la scoviamo questa logica che manca al nostro disastroso rapporto all’ambiente da cui proveniamo, o niente, bum, addio agli Stranamore del progresso o del neo-con. Ci vediamo la prossima creazione.
E stavolta, violenza o no, saremo infine costretti ad imporla la logica, perché, terrore o non-violenza, la ineccepibile struttura della contraddizione, che ha pur sempre dominato il mondo, spinge sempre e fatalmente verso il proprio dilacerante epilogo.
Che è la catastrofe.
In nessun modo la ragione e la filosofia possono render conto della storia, se non a posteriori, indagandola, raccontandola. Non mai facendola. Non c’è filosofia in noi come umanità. C’è soltanto in alcuni come singoli, e la storia non è mai la storia dei suoi eroi o dei suoi predatori. È sempre la storia come umanità, la storia delle sue masse. Non di meno, queste praticamente mai hanno ragione: appunto, la ragione è appannaggio di coloro che giammai guidano la storia (o almeno rarissimamente, come nel caso di Marco Aurelio, o di Lorenzo De’ Medici). La storia si muove quindi sul terreno del torto, ossia e sempre dei torti reciproci di qualcuno contro qualcun altro e viceversa. Non avremo mai la Ragione come presidente del consesso umano…
E veniamo a noi: ci troviamo all’alba del collasso ecologico del nostro pianeta. Siamo sull’orlo dell’abisso. Una tempesta cosmica ci attende sulla soglia dell’apocalisse. L’apocalisse sociale ed economica di un mondo ottenebrato dal vitello d’oro della crescita, dell’espansione, dell’arricchimento infinito ed esponenziale del delirio produttivo. Dio ha cambiato faccia, si è tagliato la barba, ha cambiato nome, ha cambiato persino sesso. Ora è una donna, una dea procace e prodiga di promesse. Si chiama: Produzione, e promette la soddisfazione infinita dei desideri umani. Umano, troppo umano è desiderare e nessun alter-ego s’interpone alla overdose di mondo che l’umano si apparecchia a consumare…
Il pianeta Terra è oramai soltanto a un bazzecola dal proprio harakiri. Stiamo per suicidarci, ma sappiamo comunque che disponiamo di un solo ed unico rimedio al male che ci auto-infliggiamo, un solo bene da contrapporgli. E tale bene è la ragione.
E allora come conciliare questa nostra unica risorsa contro l’autodistruzione con quella sua manifesta impossibilità a gestire il consenso, laddove le fosse concesso, senza il ricorso alla violenza? E con la sua manifesta irriducibilità al cinismo, all’indifferenza etica del potere?. Insomma, come salvarci se l’unica ancora di salvezza si chiama “ragione” ed il suo impiego implica comunque una tale resistenza da parte dei suoi avversari da indurla al terrore?
Stavolta tuttavia non c’è via d’uscita: è in gioco il biotopo stesso dell’essere. Se ometteremo l’uso della ragione, da cui l’essere muove, sarà quest’ultimo a essere sconfitto, e la vita, la vita avida e vorace, la vita rea e senza legge, la vita stessa che vuole divorare il mondo, verrà divorata dal suo stesso divoramento, come la mantide insaziabile che, dopo aver mangiato suo marito, comincia a rosicchiare se stessa.
Perciò, aut-aut: o troviamo il modo di indurre alla ragione, stavolta ecologica, chi vi si oppone con le più disparate attenuanti - per esempio, i paesi emergenti ci rimproverano di aver sfruttato in lungo e in largo il territorio, inquinandolo e piegandolo ai nostri interessi, salvo adesso scandalizzarci perché loro fanno lo stesso. Mentre gli Americani se ne infischiano serenamente, ponendo fede nella grandezza del loro “grande Paese”: se è grande, può tollerare un grande impatto ambientale. Logica da salumai, già travolta in questi giorni da una scarica di cicloni raccapriccianti. Insomma, o la scoviamo questa logica che manca al nostro disastroso rapporto all’ambiente da cui proveniamo, o niente, bum, addio agli Stranamore del progresso o del neo-con. Ci vediamo la prossima creazione.
E stavolta, violenza o no, saremo infine costretti ad imporla la logica, perché, terrore o non-violenza, la ineccepibile struttura della contraddizione, che ha pur sempre dominato il mondo, spinge sempre e fatalmente verso il proprio dilacerante epilogo.
Che è la catastrofe.
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