Scritto da © Franca Figliolini - Ven, 27/01/2012 - 07:34
Dalla finestra, Mariska aveva visto arrivare quella strana coppia, una signora molto anziana con un ragazzo giovane.
Si guardavano intorno come se cercassero qualcosa, poi a un certo punto avevano indicato proprio il portone di casa sua ed erano entrati.
Il suono del campanello la colse comunque di sorpresa e quando aprì la porta e se li trovò di fronte, Mariska non sapeva che pensare.
Fu il giovane a parlare. Era un bel ragazzo sorridente, dagli occhi pervinca, per niente minaccioso, ma la sottile inquietudine che Mariska aveva provato vedendoli non fece che aumentare nell'ascoltarlo.
«Buongiorno signora, mi scusi per il disturbo», aveva esordito gentilmente. «Mi chiamo Mihaly W. e questa è mia nonna Rozsa. Lei abitava qui a Szeged, prima della guerra. E questa era proprio la sua casa. Possiamo entrare a vederla? Le piacerebbe, sa. Ha tanti ricordi qui...»
Mariska si irrigidì. Cosa volevano quei due? Che ci facevano qui?
«Sua nonna si sbaglia, mi dispiace. Questa casa è sempre stata della mia famiglia, noi abbiamo sempre vissuto qui. E adesso se non vi dispiace, avrei da fare. Scusatemi.» Si affrettò a richiudere, lasciando fuori il ragazzo e la vecchia.
Appoggiata con le spalle alla porta, Mariska respirava affannosamente. «Questa è la mia casa, la mia casa...», riusciva solo a pensare. E quei due ebrei, come il loro cognome mostrava chiaramente, arrivati qui dopo settant'anni, cosa volevano? Cosa pretendevano? Sapeva che alcuni di loro, anche se erano passate decine di anni, avevano preteso la restituzione dei beni che gli erano stati sequestrati durante il nazismo. Ma la sua famiglia quella casa l'aveva avuta legittimamente, ne era sicura. No, no, erano stati i tedeschi a fare quello che avevano fatto agli ebrei. Erano stati i nazisti... Noi, che c'entriamo?
Improvvisamente, Mariska ricordò una cosa. Andò nello sgabuzzino e cominciò a tirare giù e ad aprire scatole impolverate, fino a che non trovò, in mezzo ad altre cianfrusaglie, quell'oggetto. Non che sapesse cosa fosse, ma sapeva che i caratteri che vi erano incisi erano caratteri ebraici. Lo tirò fuori, lo soppesò nella mano. Era antico, si vedeva. Almeno cento anni, forse di più... Lei l'aveva sempre visto in quella scatola. Pensò agli occhi pervinca del ragazzo. Pensò a quella donna anziana. Poi, senza esitazione, prese la Mezuzah (1) e... la gettò nella spazzatura.
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(1) La Mezuzah [in ebraico מזוזה, stipite (della porta), plurale מזוזות (mezuzot)] è un oggetto rituale ebraico, consistente in un contenitore che racchiude una pergamena (claf) su cui sono stilati i passi della Torah corrispondenti alle prime due parti dello Shema, preghiera fondamentale della religione ebraica.Viene posta sullo stipite della porta delle case ebraiche.
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