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La Metà Illuminata

La Metà Illuminata.
(Una ruga stira l’altra)
 
 
«Insomma dimmi, quanti anni avresti tu ora?»
 
  • «Quarantatré.»

 

«E da quando? Da quanto?»
 
  • «Da quando sono nato.»

 

«Da quando SEI nato? Da quando IO ti ho fatto nascere, se permetti. Rientra nei tuoi perimetri, e abbassa la cresta, Bukowski dei miei stivali.»
 
I miei stivali improponibili erano in pelle scamosciata e lo so, ero nervoso e irascibile, ma ne avevo i miei buoni motivi. Lo avevo trovato con carta e penna (tastiera e schermo illuminato, lui non conosceva carta e penna, era nato ormai troppo in là ), intento a scribacchiare tanto per allenarsi le dita e succhiare via parole dalla mia mente. Sentivo il formicolio ormai conosciuto e le micro scariche che immancabilmente accompagnavano la fase di produzione dell’impavido scrittore.
 
Era un venerdì notte di Novembre. Era nella sua stanza, fumava con violenza  e stava bevendo molto più del solito. Si accendeva una sigaretta dietro l'altra pensando alle ragazze, alla città, e agli anni che aveva davanti a se. Ma quanti anni aveva ancora davanti a se? Quanti ne stava bruciando tra alcol sigarette e me?. Guardava davanti a se e non gli piaceva quasi niente di quello che vedeva. Non era un misantropo o un misogino ma gli piaceva star solo. Spesso solo insieme a me. Noi stavamo bene seduti tutti soli in uno spazio ristretto io a scrivere e godere, lui a bere e a fumare,. Ci eravamo fatti sempre molta compagnia a noi stessi in questi cinque anni.
Ora qualcosa però stava camb…
 
Stavo leggendo alle sue spalle e mi accorsi che aveva voglia di parlare di se, delle sue paturnie e dei miei evidenti problemi di salute, dello stato di angoscia che il suo essere stava innescando nel rapporto di coppia. E stava usando parole di Bukowski forse non per caso. Lo interruppi quando aveva iniziato proprio questa frase - Ora qualcosa, però, stava camb…-
 
«E cosa starebbe combinando? Sentiamo. Ricordati che ti ho detto di NON usare mai parole di altri, che ne usciamo fuori male entrambi. Il bacino delle parole è immenso, specialmente il mio, attingi dove e quando vuoi, lascia stare Bukowski e i suoi panini.»
 
  1. «Guardati. Non ti vedi? Non sai vederti o non vuoi capirti? Gli specchi sono specchi, non interpretazioni
 
Lui parlava a colori, (ma in questo sito non si puo' scrivere a colori per cui il lettore non ci capira' quasi nulla..provo con elenco puntato), gli piaceva ed era un metodo per non fare confusione tra noi e i lettori.
E aveva ragione, non stavo bene da un po’ di tempo, il fisico non rispondeva a dovere, la memoria saltellava di continuo e avevo capito da tempo che era inutile cercare di forzare la perdita di memoria per scordarsi di essere smemorato. Un loop inutile e pericoloso.
 
Non stavo bene, sensazioni interne a parte, gli specchi restituivano immagini che avevano qualcosa di preoccupante. Amici e colleghi accennavano velatamente qualcosa ogni tanto, non calcando la mano ma facevano delicatamente capire che qualcosa stava accadendo, qualcosa che sapeva di decadenza esteriore, di velocizzazioni di processi nei quali, fino a pochi anni fa, sembravo non essere coinvolto. La moglie distratta e distante aveva altro a cui badare (altri, forse…) per accorgersi di me e/o notare repentini cambiamenti. 
 
Avevo 48 anni e sembravo più vecchio, una aspetto totalmente non in sintonia con il mio essere e il mio sentire interiore, un classico. Tutti si sentono giovani dentro. Un luogo comune. Ma io stavo realmente deperendo in modo anomalo, e scrivendo in modo celestiale.
 
Per la verità erano circa sei anni che non scrivevo propriamente io, ma quello strampalato di Max, l’idea di uomo più grottesca ed irriverente che mai avrei potuto pensare di pensare. Da idea in uno D, in poco tempo aveva preso sempre più forma e in due D cominciava ad andarsene per i cazzi suoi, facendo disfando e catalizzando tempo attenzioni mie e di altri (preferibilmente donne). Con il tempo aveva assunto forme in tre D, roba spostata in casa in modo autonomo e scritti fuori dal mio raggio di azione e io, io non stavo bene.
 
Ora si stava facendo chiaro il quadro, come sempre nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma, e i suoi quarantatré anni mantenuti immutati per sei anni stavano facendo pagare un caro prezzo a me, carissimo, e tutto per qualche cavolo di racconto invendibile.
 
Ogni suo anno mantenuto stabile, ogni quarantatre garantito per lui, stava facendo invecchiare me di due anni alla volta, e ora io, anche se anagraficamente 48enne, ero biologicamente ben oltre i cinquanta (54 per la precisione) e io non volevo morire anzitempo, chiaramente, per cui:
 
  • «Per cui se vuoi io me ne vado, e la chiudiamo li.»
 
«E i miei anni chi me li restituisce? Il tempo, il mio tempo chi me lo rende indietro? Quelle quattro parole in croce che mi hai lasciato? Ma che cavolo ho combinato, che mi è passato per la testa? A che ho dato vita?»
 
  • «A CHI hai dato vita, prego. Fammi fuori e posso solo restituirti i tuoi prossimi anni di vita normali, con i giusti tempi e le tue giuste rughe»
 
«Tu sei la mia metà illuminata. Ogni ruga che ti ho stirato via me la sono presa io. Ora me le tengo tutte, e tu? Tu mi dici di farti fuori??»
 
  • «Io la tua metà illuminata? Mi dai, mi danno del grottesto e strafottente da anni. Illuminata? Ma cammina… Si, fammi fuori invece, prenditi oneri e onori. Io non posso essere più, non a questo prezzo, mi pare evidente. Bello il gioco delle parole, il creare mondi orrori e amori. Fammi fuori, organizza un bel funerale, come si deve, di quelli che sistemano tutto per sempre. Facciamo una cosa anzi, il funerale mio te lo scrivo io, sarà il mio ultimo racconto postumo, e tu continui poi per la tua strada, dai, che si sai fare. Lo chiameremo “Al funerale di uno sconosciuto”»
 
Dio mio, mi stava lasciando solo. Ecco il senso di vuoto aggredirmi alla spalle, la mente vuota e sporca come uno stadio dopo un concerto, mani sudate voce impastata e lingua ormai inutilizzabile (tanto parlavamo a mente).
«Io ci so fare? Fare cosa? Scrivere? Quello era il tuo lavoro, era la tua arte che prendeva forma ad ogni parola, era una festa ad ogni parola Fine che mettevi. Io rischio di non essere capace neanche di accendere il computer senza di te, Tu mi dici di farti fuori?? Io ci so fare? E chi te lo dice?»
 
  • «E chi me lo dice? Coglione che non sei, rileggiti, non te ne sei accorto?. Questo racconto, lo hai scritto tu.»
 
 
FINE
 

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