Scritto da © ferdigiordano - Ven, 27/01/2012 - 18:22
Sarà di cristallo, e avvolgente, la figlia della trasparenza, quando poggia la sua seta languida sulle creste e le converte in tempio.
Vi andremmo osannanti, ma andiamoci come spoglie nebbie.
E sarà poco ovvia, inattesa, quasi incompleta nel dibattito tra gli occhi ed il panorama elementare disteso nei vetri. Sembrerà una conchiglia rara, l’aria che si affronta andandole dentro.
È il diamante reso miniera dagli eoni del cielo.
È la superficie allegorica dei colori, quello che più meraviglia nel guazzo delle riprese. Nessuna linea si stronca: sembrano genitrici di punti costanti, mappe di isole mai viste in chiaro se non finendoci sopra come relitti di quel noi naviganti senza rotta. Le distanze si comprimono e la misura ha una netta definizione. Non stringi le palpebre, non estrometti le pupille: traguardi là dove osservi come se vi arrivassi in tronco. Questo mi consente l’etica del dove non vivrei perché senza antenne; dove non andrei, giacché le zampe non si muovono ad onda.
L’aria chiara è un chiosco di respiri profondi.
Vi andrei a salti, però sollevandomi come una bruma che ignora l'ora.
Dunque, l’aria di cui non t’accorgi è una centrifuga di emozioni. Il suo profilo di luogo nel luogo, esprime la geografia senza peso. Il meridiano che insinua il grammo nel secondo è poi visibile come una locomotiva senza vapori. Lì dorme il treno che ti allontana, lì si accavallano le rotaie di tutte le stazioni. Il verbo dei polmoni si coniuga senza alcuna attenzione. Forse c’è più di un profumo che la narice assembla per i bronchi. Forse un corteo di voli agita la sua seta impalpabile. Forse è doveroso chiamarla col nome più intimo: aria di casa, aria che non si scompone.
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