Scritto da © Hjeronimus - Dom, 06/05/2012 - 12:40
Gli sembrava che il ginocchio volesse alzarsi da solo, come per andarsene. E sentiva il suo sangue svicolante rapido nelle vene come una metropolitana, così che pensò d’essere diventato New York. Era stata una notte dura, una notte che incespicava in continue allucinazioni, traslunando nell’irrealtà, per poi ricacciarsi al suolo con un atterraggio brusco, come quello di un parà. Ma lui non era un paracadutista, non era New York, né il suo ginocchio ostinato, alfiere semovente della libertà. E poi, dove voleva andarsene a zonzo quel signor ginocchio? Da solo?… O magari portandosi via tutt’intera la sua gamba?… Magari era stanco di lui, della sua malinconia, della sua irresoluzione, di quel non saper mai dove andare e a far che… un ginocchio, è fin ovvio, deve andare, è la sua logica. Già, ma quando non si sa cosa farsene di una vita intera, cosa dovrebbero dire le nostre ginocchia? Le gambe fatte per camminare; le braccia fatte per stringere a sé altre braccia, altri corpi, altre ginocchia… No, la vita non era la vita, perciò il ginocchio aveva preso la risoluzione di emigrare. Già, ma cosa si deve fare? Come si deve vivere?… Ahimè…
Sì, ginocchio, lo so, lo so quello che vuoi dire. Ti capisco, è chiaro, e se vuoi proprio andartene, beh, vai, va pure. Non ti trattengo. Ma non andrai lontano. Non c’è il lontano. C’è il qui, c’è l’ora, ma il lontano no, non esiste. Vedrai, non troverai nulla e tornerai indietro peggio di prima. Conviene che resti. Qui calmo. Ecco, così. Rilassati. Dormi…
Così gli parve che il ginocchio s’addormentasse e che tutto quello “sveicolare” metropolitano del suo sangue, si calmasse lui pure. C’era già l’alba dietro la fuga parallela delle stecche della persiana. Pallida, gracile, perplessa, si faceva strada esitando tra le ruote immense del carro notturno, dando ad intendere la rinascita ognidì della forza e della facoltà di sperare, di poter sperare ancora e di nuovo, ancor oggi e per oggi e per ogni giorno che sarebbe prima o poi risorto dietro la persiana. Così il ginocchio scricchiolò di assenso e, con lieve spasimo, annunciò la sua rinata volontà di collaborazione. E tutto rientrò nella regola.
Sì, ginocchio, lo so, lo so quello che vuoi dire. Ti capisco, è chiaro, e se vuoi proprio andartene, beh, vai, va pure. Non ti trattengo. Ma non andrai lontano. Non c’è il lontano. C’è il qui, c’è l’ora, ma il lontano no, non esiste. Vedrai, non troverai nulla e tornerai indietro peggio di prima. Conviene che resti. Qui calmo. Ecco, così. Rilassati. Dormi…
Così gli parve che il ginocchio s’addormentasse e che tutto quello “sveicolare” metropolitano del suo sangue, si calmasse lui pure. C’era già l’alba dietro la fuga parallela delle stecche della persiana. Pallida, gracile, perplessa, si faceva strada esitando tra le ruote immense del carro notturno, dando ad intendere la rinascita ognidì della forza e della facoltà di sperare, di poter sperare ancora e di nuovo, ancor oggi e per oggi e per ogni giorno che sarebbe prima o poi risorto dietro la persiana. Così il ginocchio scricchiolò di assenso e, con lieve spasimo, annunciò la sua rinata volontà di collaborazione. E tutto rientrò nella regola.
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