Kabul, città d'asfalto,
il succo dei tuoi frutti rossi
m'inebria e m'assopisce tutta.
Come oppio la neve sui monti
osserva l'inverno rotolare via,
ci osserva sperare.
Una capra gemendo viene munta,
il suo latte di perla si confonde col vento.
Kabul dai cieli di sangue,
Kabul giovinetta pericolosa
dalle palpebre in fiamme,
non cederò al tuo inganno:
oggi non ballerò questo valzer.
I tuoi occhi di mandorla
quei fiori sul capo
presto vedremo ogni cosa passire,
presto il silenzio rimarrà l'unico erede.
Kabul, arteria del mondo,
terra dai melograni di corallo,
la tua voce si disperde
la tua voce divaga;
non mi giunge più alcun invito,
la musica e le danze s'acquattano
come lupi compagni d'un branco di sciagure.
E' finito tutto. Tutto è perso.
Solo un battito continua a snodarsi, libero,
nel vuoto, con una precisione allucinata.
Kabul, sorella mutilata, non ti scorderò mai.
Continua a muoverti,
a essere la bell'incantatrice di sempre,
così mi rimarrai impressa, così ti riavrai dal fango.
E' una promessa, questa. E la verità.
Chissà se scopriremo mai dove si son impigliate
le tele dei nostri aquiloni.
Rovereto, 7 maggio 2012
Caterina Manfrini
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