Il guado e il ponte (intorno agli oggetti - 6) | RV International | ferdigiordano | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il guado e il ponte (intorno agli oggetti - 6)

 
 
            Non capita mai che il guado stia fermo sotto al ponte. Non si tratta quindi di un vagabondo. Né può accadere il contrario. I ponti sono alti come le vertigini, anzi più alti dei bronchi con cui respira il paese, quelle cupole rosse che riducono l'ossigeno al vento. Sono anelli ammessi ai crepacci di traverso. Stanno sulle miriadi di dita che la Terra eleva dai capelli verdi o dalla pelle grezza, cuspide di troppa indigenza. Emergono sulle valli, piantonano le rive. I ponti consentono di cucire il volo al piede, la struttura della distanza alla misura ridotta del percorso.
           
            Il guado teme l’emersione dal fondo: riconosce l'arguzia dell'acqua che lo nasconde. Stramazza nella corrente veloce e ferma molecole brade nel recinto della pozza. Solletica il mistero del fosso, emerge come un bacio dalle sponde, lo evolve quando il flusso dei corpi lo raccoglie.
           
            Il guado è magro. E' vecchio come la gola, la antecede, anzi, la informa. Ha una schiena bassa, curva. Ottempera alla secca quando si appoggia sui palmi. Possiede una libertà espressiva che lo sposta, ma non lo annienta. Il guado è semplice, è burlone.
 
            L’austerità dell’arco, la sua continua estensione, l’allungamento di un discorso di pietra che non ha doveri se non portare sulla schiena le sollecitazioni, gli abbrivi della feritoria che s’apre nell’area dei monti. Il ponte riscuote l'altezza, regge la nuova epoca di passi e annienta il salto; non lo esercita, ne è istituzione. La rincorsa trova lo sbalzo e s’inerpica nel vuoto, slancia la distanza e pianta la sua freccia tra due dirupi. Il ponte misura la linea intraprendente della congiunzione.
 
            L’eco dei passi non distoglie il guado dal suo lavoro di diga. L’oppio del canneto in un fianco estremizza il lato che dorme. Ne impedisce la ricerca. E si perde anch’esso. Eppure non teme la piena. La sua occupazione incerta gli offre lo spunto per dialogare col ciottolo. Lo espugna fino a stanarne le ossa. Non trasporta: riceve le segnalazioni della fonte quando trasmette voci. Quando lei si secca, lui inaridisce lento e poi si sotterra. Muore al centro, quando il cuore ritira i polsi dalla vena vuota.
 
            Il ponte, il guado, hanno sempre una spina, come tutte le resistenze del dorso.
 

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