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Il bus e il rebus

 
Quante volte salendo sull’autobus che vi conduce sul luogo di lavoro vi siete imbattuti in persone che – comodamente sedute – “giocano” con i “rebus” che la maggior parte dei quotidiani e settimanali riportano per la felicità dei moltissimi appassionati?
Coloro che non hanno alcuna conoscenza di latino non appena incontrano delle parole terminanti in “-bus” o in “-orum” pensano subito alla lingua dei nostri padri. E non hanno affatto torto perché queste due paroline sono tra le più frequenti
e “sonore” della lingua latina.
Ricordate il Renzo del Manzoni che nei “Promessi sposi” si lamenta del “latinorum” che le persone potenti adoperano a bella posta per confondere i poveri e – in generale – le persone ignoranti?
“Orum” e “bus”, dunque, sono due desinenze plurali che servono per indicare rispettivamente il complemento di specificazione e i complementi di mezzo, di termine e di vantaggio. Lasciamo stare le parole in “orum” e occupiamoci di quelle in “bus” perché due di questi termini sono stati trasportati “di peso” nella lingua italiana, o, meglio, sono stati “rispolverati” in epoca non molto lontana; uno di questi è, per l’appunto, il “rebus” di cui parlavamo all’inizio.
Questo “rebus” è l’ablativo plurale, vale a dire il complemento di mezzo del vocabolo latino “res” (cosa e, in senso lato, realtà) e significa, letteralmente, “per mezzo delle cose”. Il rebus, per tanto, è quel passatempo (che riportano i giornali) che consiste nello scrivere le frasi non con le parole ma “per mezzo delle cose” (rebus). Gli appassionati lo conoscono benissimo e sanno che, per esempio, i “rebusisti” invece di scrivere la parola “tre” tracciano sulla figura di un re una “t” e gli esperti leggono subito “tre”. Per scrivere non hanno adoperato le parole ma le “cose” (la figura di un re e una “t”), hanno composto, quindi, un “rebus”.
L’altra parola, più conosciuta e adoperata, è l’autobus, pena e delizia di moltissimi cittadini. Occorre precisare, però, che l’autobus è un prestito del latino “omnibus”, complemento di vantaggio, quindi caso dativo del termine, anzi dell’aggettivo o pronome “omnes” e significa “per tutti”, “a vantaggio di tutti”. Questa parola fu ripresa dalla “soffitta della lingua” piú di due secoli fa e fu adoperata per indicare quel trenino che fermava in tutte le stazioni ed era, quindi, “per tutti”, “a vantaggio di tutti”. In seguito il termine fu applicato ai tram urbani (quelli trainati dai cavalli) che erano il mezzo di trasporto “a vantaggio
di tutti”, in contrapposizione alla carrozza privata, riservata ai ricchi e ai nobili.
Con il trascorrere del tempo il vocabolo “omnibus” fu fuso con altre parole dando origine al “filobus”, “aerobus” e “autobus”.
Da notare che i cugini francesi e inglesi, molto più pratici, dicono semplicemente “bus”. E visto che siamo in tema di “bus” parliamo del… “quibus” o, se preferite, di soldi.
Anche questo vocabolo è… latino, esattamente l’ablativo plurale del pronome relativo; desinenza che, come abbiamo visto, serve per indicare un complemento di mezzo. Il termine indica, per tanto, i soldi (“quibus” uguale “con i quali”) per mezzo dei
quali si può comperare qualsiasi cosa.
Il vocabolo, ormai, è diventato un vero e proprio sostantivo corrente sulla bocca di tutti, anche di coloro che non sanno una parola di “latinorum”.
 
 
Fausto Raso
 

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