Scritto da © Hjeronimus - Lun, 25/06/2012 - 23:28
Ciò che non sono, ciò che non voglio. Più volte, nel corso di tutta o quasi una vita, mi sono a sorpresa imbattuto in qualcos’altro da me stesso, sgusciato fuori da chissà dove a confondermi, a stringermi in una maschera aliena da mettere in bella mostra, come per dare ad intendere che io non fossi io. Un fantasma evocato forse da circostanze particolari, o da una qualche “catacomba” autolesionistica dell’anima.
Fatto sta che noi ci portiamo dentro soglie, uscite pericolose, di norma sbarrate e invalicabili, che nondimeno di quando in quando si spalancano improvvise, come in sogno, e liberano essenze impreviste, che non avremmo mai sospettato di allevarci in seno.
Questo ianus nascostoci dentro, è un doppio, un’alterità, una controfaccia che impresta all’altrui orecchie varianti sconosciute della nostra indole e le lascia passar per buone, come diffamazioni orditeci contro per chissà quale malevolenza, o qual macchia indelebile schiacciataci dentro. Ma attenzione: una auto-diffamazione, come se ospitassimo nel cuore dèi-contro che scatenassero noi stessi contro noi stessi.
Ricordo una scena da Bergman: c’era Liv Ulmann in un sogno che era dato tale e quale come tutto il resto nel film ( che forse era “Persona”). Lei sognava di trovarsi in casa sua, davanti alla porta di un armadio. Una voce fuori campo la diffidava dall’aprirla: fossi in te non aprirei quella porta. Non poteva immaginare cosa le si sarebbe svelato aldilà. Ma lei la apre e dietro non ci sono che degli abiti, e dietro agli abiti c’è ancora la sua casa, la normalità, e in mezzo a tanta consuetudine vede sua madre seduta. Tutto è ovvio, perspicuo, inconfondibile. Ma lo sguardo che sua madre le proietta addosso è sbarrato e vuoto…
Ecco, è questo che è raccapricciante: la terribile e “calma” ordinarietà della orologeria della nostra vita. Che però, e lo sappiamo, ci ha qualche porticina nascosta, che ogni tanto si spalanca e lascia passare un’altra ontologia, un’altra interpretazione, per cui tutto ciò che sin lì era sembrato sereno e rassicurante si cangia in un terribile Orco, che mette a nudo l’equivoco maledetto per cui il male ci era sembrato il bene. E viceversa…
Così sguscia fuori un altro io, dall’Es, che non sappiamo chi sia, né perché sia così giunto all’improvviso a infangare le nostre vite, già così amare e senza scampo…
Fatto sta che noi ci portiamo dentro soglie, uscite pericolose, di norma sbarrate e invalicabili, che nondimeno di quando in quando si spalancano improvvise, come in sogno, e liberano essenze impreviste, che non avremmo mai sospettato di allevarci in seno.
Questo ianus nascostoci dentro, è un doppio, un’alterità, una controfaccia che impresta all’altrui orecchie varianti sconosciute della nostra indole e le lascia passar per buone, come diffamazioni orditeci contro per chissà quale malevolenza, o qual macchia indelebile schiacciataci dentro. Ma attenzione: una auto-diffamazione, come se ospitassimo nel cuore dèi-contro che scatenassero noi stessi contro noi stessi.
Ricordo una scena da Bergman: c’era Liv Ulmann in un sogno che era dato tale e quale come tutto il resto nel film ( che forse era “Persona”). Lei sognava di trovarsi in casa sua, davanti alla porta di un armadio. Una voce fuori campo la diffidava dall’aprirla: fossi in te non aprirei quella porta. Non poteva immaginare cosa le si sarebbe svelato aldilà. Ma lei la apre e dietro non ci sono che degli abiti, e dietro agli abiti c’è ancora la sua casa, la normalità, e in mezzo a tanta consuetudine vede sua madre seduta. Tutto è ovvio, perspicuo, inconfondibile. Ma lo sguardo che sua madre le proietta addosso è sbarrato e vuoto…
Ecco, è questo che è raccapricciante: la terribile e “calma” ordinarietà della orologeria della nostra vita. Che però, e lo sappiamo, ci ha qualche porticina nascosta, che ogni tanto si spalanca e lascia passare un’altra ontologia, un’altra interpretazione, per cui tutto ciò che sin lì era sembrato sereno e rassicurante si cangia in un terribile Orco, che mette a nudo l’equivoco maledetto per cui il male ci era sembrato il bene. E viceversa…
Così sguscia fuori un altro io, dall’Es, che non sappiamo chi sia, né perché sia così giunto all’improvviso a infangare le nostre vite, già così amare e senza scampo…
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