Scritto da © Hjeronimus - Mar, 26/08/2014 - 17:22
Qualcuno nel secolo scorso, anticipando i tempi, disse: il mezzo è il messaggio. Dico “anticipando i tempi” perché la sua asserzione andava oltre le sue stesse mire, dicendo più, e più avanti, di quanto fossero volte. Voleva solo dire che stante la struttura linguistica dell’essenza umana, la forma attraverso la quale si attua la comunicazione trae a sé il contenuto, per cui tale contenuto non sta, o non soltanto, nel dato trasmesso, ma risale anche al sistema, alla “tecnica” della trasmissione. Se è scritto, per esempio, ha un certo impatto che mutua e diversifica la sua percezione da parte del ricevente. Se è via radio, magari, tale impatto tende a sopravanzare il tenore razionale del rapporto effettuato. Ma se è video, ecco che la metamorfosi del messaggio è completa: esso non coincide più con il nesso iniziale, ma con la forma mediatica che in teoria dovrebbe supportarlo. Ossia, un messaggio mediatico è altro da ciò che illustra. Per fare un esempio di questi giorni, possiamo riferirci ad un video in circolazione che mostra la decapitazione di un poveraccio di reporter da parte del solito terrorista squilibrato, invasato da “sacra” frenesia. Ecco, ciò che si vede, non è ciò che si vuole mostrare. L’intento del “regista” e quindi del massacratore, è quello di mostrare la forza e la determinazione della propria fazione. Ma all’infuori di quelli come loro, banda di macellai senza capo né coda, nessuno, nessuno al mondo percepisce quest’intendimento. Ciò che si vede è soltanto l’eroica disperazione della vittima insieme alla “neuro” forsennata del carnefice. E rispetto al proprio programma il filmato è non solo controproducente, ma inversamente proporzionale al proprio valore divulgativo. L’inversione del principio di valore s’è instaurato nel passaggio “culturale” dalla intenzione degli autori al mezzo da essi utilizzato. E il risultato, per costoro, è già più che deprimente: i servizi segreti britannici conoscono già il nome del macellaio, il quale è oramai un “morto che cammina”…
Ora, la fin che farà quel miserabile squarciabudella ci è qui del tutto indifferente. Non è lui il colpevole dello sgretolantesi panorama in circolo. Lui non è che una pedina della esiziale partita a scacchi con l’inferno intrapresa dall’umanità; nient’altro che un rivolo, demente ma dimenticabile, dell’andazzo complessivo, che va a rotoli. Ci interessa invece quella bizzarra trasvalutazione del suo messaggio, quella capriola del senso che trasmette il contrario di quello che dice. Ad opera del mezzo che dovrebbe, che è stato pensato, per trainare il significato, non il suo contrario. Evidentemente, se il mezzo è il messaggio, può tramandare quello che gli pare, non solo equivocando le finalità del trasmittente, ma rigirandole a piacimento nel calderone mediatico, così che il “valore”, anche di un atto atroce come quello, è già “altro” rispetto ai sensi del suo autore, e in più assumendo una pari valenza rispetto, che so, allo spot di una bistecchiera. Qui, lo spazio morale del messaggio (sia pure atroce e atrocemente idiota e vile- perché, se non è da vigliacchi accoppare un povero diavolo innocente legato come un salame…) è intieramente usurpato e oscurato dallo spazio fisico del mezzo che, in mezzo a tante sconfitte, è l’unico a uscire vincente. Siamo così giunti al totale ribaltamento della formulazione di Mc Luhan: “il messaggio è il mezzo”. Ed è oramai solo lui, il medium, l’onnipotente estensore d’ogni messaggio, l’emittente assoluto. Siamo a un passo da una catastrofe epistemologica, dal crack del senso e dal collasso umanistico. E tutto ciò reca amaramente il nome del messia che avrebbe dovuto invece salvarci: la scienza, la tecnologia, l’elettronica.
L’elettronica, vuota d’autocoscienza e per di più deprivante della medesima, induce per forza di cose mutazioni antropologiche che non sono, nota bene, un altro start, un reset diverso di ripartenza dell’umanità. Ma una sorta di ritrazione all’infanzia di quella, un raccordo stavolta “virtuale” al pensiero mitico del selvaggio. Una ricostruzione simbolica del senso sotto la luce abbagliante di un realismo elementare, senza logos, senza episteme. E soltanto imaginifico.
Se il mezzo non è più soltanto mezzo, ma un’onnipotenza, un totus, la connessione con l’oggetto cui fa da ponte diventa inessenziale. Non è più fondamentale l’informazione di cui dovrebbe essere il nunzio, dato che è esso stesso l’informazione. In tal guisa, il messaggio viene assolutamente depotenziato e si installa nell’archivio “milionario” di messaggi omologhi, tutti uniformati all’unica fonte di senso e di valore restata in auge, che è quella dell’auto-rappresentazione del mezzo stesso, sia che chiami in causa la crudeltà e il dolore, sia che gli punga vaghezza di farci sorridere. L’orrore del carnefice che mozza la testa alla sua vittima, non è in sé, ma dentro la sua virtualizzazione video, il quale è l’unico deputato alla concessione di terrore o divertimento.
La vera vittima di questo massacro del senso è l’umano nudo e crudo. L’umano che non riesce a distinguere tra il gioco e il sangue, tra l’intrattenimento e l’olocausto. Di modo che, quando intere generazioni catechizzate con display e pulsanti, debbono tradursi dal virtuale all’effettuale, quest’ultimo sfugge loro di mano, lasciandoli soli col solo bagaglio pulsionale, ossia soltanto col pensiero mitico, limbico, quello che negli incubi ci fa sognare il corpo fatto a pezzi. Di lì i fatali epiloghi…
Qui è lo stesso concetto di mezzo, di medium, a dover essere preso in carico. Esso è concetto, appunto, e come tale va sussunto alla struttura concettuale dell’essere, nella sua universalità abbracciante. Il mezzo non può essere l’essere. È un “fesso” e si spegne premendo un pulsante. A tale stregua, esso ridiventa, rientra nel proprio paradigma, quello della cosalità, di oggetto utile, anche molto utile al suo operatore. Ma, se osserviamo il divenire comune del dominio della tecnologia, vediamo questo: un giovane uomo (simile ad altri quasi sette miliardi di suoi simili) “appeso” ore e ore ad un quadrante luminoso, da cui apprende tutto quello che sa, in modo tale che viene inquadrato in un mondo uguale, ove ogni elemento, ogni nozione è l’equivalente di altre, dal cannoneggiamento di una città, al video di Lady Gaga, all’affondamento di una”carretta” colma di emigranti- tutte figure ricondotte al codice unificante della sua tavolozza luminosa. Egli si muove dentro questo universo uguale seguendo direttive implicite nel sistema della comunicazione globale. Se sale in macchina, per esempio, si lascia guidare da un “navigatore”, non imparando mai la strada. I libri, cioè la struttura “cosale” che ha sin qui precorso quella in questione e che ha pur generato la precedente, grandiosa trasformazione antropologica del genere umano (a partire da Gutenberg), sono qui pretermessi. Si presume la loro sterilità, a partire dal fatto che anche loro sono inglobati nell’universo uguale e si possono quindi richiamare a piacimento, all’occorrenza.
Ma è questa occorrenza che viene a cadere. All’internauta è sufficiente una conoscenza ristretta, frammentaria di un libro intero. La sua cultura non è quindi del tutto superficiale, ma incenerita, sbriciolata in un polverume di atomi inerti e tutti identici. La profondità s’inabissa nell’inconscio, lasciando galleggiare soltanto un sapere del desiderio, un sapere pulsionale che esprime un simbolismo aurorale, vergine, mitico che, nella sua pericolosa innocenza, dà facilmente accesso alla bestialità. È il cervello limbico, il demens che prepondera sul sapiens.
Quando quel giovane si fa grande e entra magari in politica, ecco che si sente molto furbo perché conosce Wikipedia e si dà da fare per “cambiare il mondo” con un occhio puntato su un complottismo siderale, derivato da quel simbolismo fanciullesco di poc’anzi (ma a lui non la si fa, perché ha visto Wikipedia…), e l’altro su una Weltanschauung mezzo dark e mezzo new age, con finalità messianiche…
Così come Pasolini aveva profetizzato sul divenire del primo fra i mass-media, il televisore, assistiamo qui ad una metamorfosi aggiuntiva del senso, del discernimento, che scende un ulteriore gradino sulla scala (dei valori) che declina giù, dalla luce della coscienza, nell’abisso infernale.
Qualcuno nel secolo scorso, anticipando i tempi, disse: il mezzo è il messaggio. Dico “anticipando i tempi” perché la sua asserzione andava oltre le sue stesse mire, dicendo più, e più avanti, di quanto fossero volte. Voleva solo dire che stante la struttura linguistica dell’essenza umana, la forma attraverso la quale si attua la comunicazione trae a sé il contenuto, per cui tale contenuto non sta, o non soltanto, nel dato trasmesso, ma risale anche al sistema, alla “tecnica” della trasmissione. Se è scritto, per esempio, ha un certo impatto che mutua e diversifica la sua percezione da parte del ricevente. Se è via radio, magari, tale impatto tende a sopravanzare il tenore razionale del rapporto effettuato. Ma se è video, ecco che la metamorfosi del messaggio è completa: esso non coincide più con il nesso iniziale, ma con la forma mediatica che in teoria dovrebbe supportarlo. Ossia, un messaggio mediatico è altro da ciò che illustra. Per fare un esempio di questi giorni, possiamo riferirci ad un video in circolazione che mostra la decapitazione di un poveraccio di reporter da parte del solito terrorista squilibrato, invasato da “sacra” frenesia. Ecco, ciò che si vede, non è ciò che si vuole mostrare. L’intento del “regista” e quindi del massacratore, è quello di mostrare la forza e la determinazione della propria fazione. Ma all’infuori di quelli come loro, banda di macellai senza capo né coda, nessuno, nessuno al mondo percepisce quest’intendimento. Ciò che si vede è soltanto l’eroica disperazione della vittima insieme alla “neuro” forsennata del carnefice. E rispetto al proprio programma il filmato è non solo controproducente, ma inversamente proporzionale al proprio valore divulgativo. L’inversione del principio di valore s’è instaurato nel passaggio “culturale” dalla intenzione degli autori al mezzo da essi utilizzato. E il risultato, per costoro, è già più che deprimente: i servizi segreti britannici conoscono già il nome del macellaio, il quale è oramai un “morto che cammina”…
Ora, la fin che farà quel miserabile squarciabudella ci è qui del tutto indifferente. Non è lui il colpevole dello sgretolantesi panorama in circolo. Lui non è che una pedina della esiziale partita a scacchi con l’inferno intrapresa dall’umanità; nient’altro che un rivolo, demente ma dimenticabile, dell’andazzo complessivo, che va a rotoli. Ci interessa invece quella bizzarra trasvalutazione del suo messaggio, quella capriola del senso che trasmette il contrario di quello che dice. Ad opera del mezzo che dovrebbe, che è stato pensato, per trainare il significato, non il suo contrario. Evidentemente, se il mezzo è il messaggio, può tramandare quello che gli pare, non solo equivocando le finalità del trasmittente, ma rigirandole a piacimento nel calderone mediatico, così che il “valore”, anche di un atto atroce come quello, è già “altro” rispetto ai sensi del suo autore, e in più assumendo una pari valenza rispetto, che so, allo spot di una bistecchiera. Qui, lo spazio morale del messaggio (sia pure atroce e atrocemente idiota e vile- perché, se non è da vigliacchi accoppare un povero diavolo innocente legato come un salame…) è intieramente usurpato e oscurato dallo spazio fisico del mezzo che, in mezzo a tante sconfitte, è l’unico a uscire vincente. Siamo così giunti al totale ribaltamento della formulazione di Mc Luhan: “il messaggio è il mezzo”. Ed è oramai solo lui, il medium, l’onnipotente estensore d’ogni messaggio, l’emittente assoluto. Siamo a un passo da una catastrofe epistemologica, dal crack del senso e dal collasso umanistico. E tutto ciò reca amaramente il nome del messia che avrebbe dovuto invece salvarci: la scienza, la tecnologia, l’elettronica.
L’elettronica, vuota d’autocoscienza e per di più deprivante della medesima, induce per forza di cose mutazioni antropologiche che non sono, nota bene, un altro start, un reset diverso di ripartenza dell’umanità. Ma una sorta di ritrazione all’infanzia di quella, un raccordo stavolta “virtuale” al pensiero mitico del selvaggio. Una ricostruzione simbolica del senso sotto la luce abbagliante di un realismo elementare, senza logos, senza episteme. E soltanto imaginifico.
Se il mezzo non è più soltanto mezzo, ma un’onnipotenza, un totus, la connessione con l’oggetto cui fa da ponte diventa inessenziale. Non è più fondamentale l’informazione di cui dovrebbe essere il nunzio, dato che è esso stesso l’informazione. In tal guisa, il messaggio viene assolutamente depotenziato e si installa nell’archivio “milionario” di messaggi omologhi, tutti uniformati all’unica fonte di senso e di valore restata in auge, che è quella dell’auto-rappresentazione del mezzo stesso, sia che chiami in causa la crudeltà e il dolore, sia che gli punga vaghezza di farci sorridere. L’orrore del carnefice che mozza la testa alla sua vittima, non è in sé, ma dentro la sua virtualizzazione video, il quale è l’unico deputato alla concessione di terrore o divertimento.
La vera vittima di questo massacro del senso è l’umano nudo e crudo. L’umano che non riesce a distinguere tra il gioco e il sangue, tra l’intrattenimento e l’olocausto. Di modo che, quando intere generazioni catechizzate con display e pulsanti, debbono tradursi dal virtuale all’effettuale, quest’ultimo sfugge loro di mano, lasciandoli soli col solo bagaglio pulsionale, ossia soltanto col pensiero mitico, limbico, quello che negli incubi ci fa sognare il corpo fatto a pezzi. Di lì i fatali epiloghi…
Qui è lo stesso concetto di mezzo, di medium, a dover essere preso in carico. Esso è concetto, appunto, e come tale va sussunto alla struttura concettuale dell’essere, nella sua universalità abbracciante. Il mezzo non può essere l’essere. È un “fesso” e si spegne premendo un pulsante. A tale stregua, esso ridiventa, rientra nel proprio paradigma, quello della cosalità, di oggetto utile, anche molto utile al suo operatore. Ma, se osserviamo il divenire comune del dominio della tecnologia, vediamo questo: un giovane uomo (simile ad altri quasi sette miliardi di suoi simili) “appeso” ore e ore ad un quadrante luminoso, da cui apprende tutto quello che sa, in modo tale che viene inquadrato in un mondo uguale, ove ogni elemento, ogni nozione è l’equivalente di altre, dal cannoneggiamento di una città, al video di Lady Gaga, all’affondamento di una”carretta” colma di emigranti- tutte figure ricondotte al codice unificante della sua tavolozza luminosa. Egli si muove dentro questo universo uguale seguendo direttive implicite nel sistema della comunicazione globale. Se sale in macchina, per esempio, si lascia guidare da un “navigatore”, non imparando mai la strada. I libri, cioè la struttura “cosale” che ha sin qui precorso quella in questione e che ha pur generato la precedente, grandiosa trasformazione antropologica del genere umano (a partire da Gutenberg), sono qui pretermessi. Si presume la loro sterilità, a partire dal fatto che anche loro sono inglobati nell’universo uguale e si possono quindi richiamare a piacimento, all’occorrenza.
Ma è questa occorrenza che viene a cadere. All’internauta è sufficiente una conoscenza ristretta, frammentaria di un libro intero. La sua cultura non è quindi del tutto superficiale, ma incenerita, sbriciolata in un polverume di atomi inerti e tutti identici. La profondità s’inabissa nell’inconscio, lasciando galleggiare soltanto un sapere del desiderio, un sapere pulsionale che esprime un simbolismo aurorale, vergine, mitico che, nella sua pericolosa innocenza, dà facilmente accesso alla bestialità. È il cervello limbico, il demens che prepondera sul sapiens.
Quando quel giovane si fa grande e entra magari in politica, ecco che si sente molto furbo perché conosce Wikipedia e si dà da fare per “cambiare il mondo” con un occhio puntato su un complottismo siderale, derivato da quel simbolismo fanciullesco di poc’anzi (ma a lui non la si fa, perché ha visto Wikipedia…), e l’altro su una Weltanschauung mezzo dark e mezzo new age, con finalità messianiche…
Così come Pasolini aveva profetizzato sul divenire del primo fra i mass-media, il televisore, assistiamo qui ad una metamorfosi aggiuntiva del senso, del discernimento, che scende un ulteriore gradino sulla scala (dei valori) che declina giù, dalla luce della coscienza, nell’abisso infernale.
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