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Il vuoto

La vita è vuota, come questo lungolago ululato dal vento, qui a Lecco, il vento straziante che ha svuotato la passeggiata e sfuriato sull’acqua dandole a bere d’essere il mare, invece. Sotto le lussureggianti alberature, in luogo dei gitanti, circolano foglie, rami, cartacce, tutto arrotolato in una specie di kebab rifiutato, che neanche il lago ingoia.
E niente è la vita, pure dentro quei gorghi mossi, musicali, sfrenati ove danzo da solo come un ingrediente di quel kebab; ove nell’illusione del movimento sembra per un attimo che la nullità sia sospesa ed entri in gioco il senso della vita. Ma è soltanto tutto quell’agitarsi delle cose morte che sembra vita. La realtà, la verità è il non-senso di tutto, il vuoto, il nulla …
Perché prendersela tanto? Perché indignarsi, per esempio, della politica? Tutte carogne, lo sappiamo già. L’uomo è carogna e la vita non vale un cavolo. Neanche a fregarsene ci si guadagna, perfino l’indifferenza è un vuoto nulla … Qui, ove Manzoni ci narrò dei suoi sposi che non si sposavano. Dell’ingiustizia, del diritto violato e annichilito. Già. Oggi che gli sposi si sposano, abbiamo poi il “femminicidio”, o altre tragedie che mettono alla berlina il “diritto” del Manzoni. Come quella di quelle due bestie, marito e moglie, che hanno sterminato i vicini, bambini inclusi, perché “facevano chiasso” … ahimè …
Nel vuoto si arrampica un altro “kebab” e mi si arrotola addosso,. Schifo. Mi tolgo tutta quella porcheria di dosso. Sì, ma non questo pezzetto di carta, chissà perché. Anzi lo conservo. Me lo porto via.
Ecco, qui, in questo locale va già meglio. L’ectoplasma ululante è restato fuori e mi faccio una “spina”. Arriva la birra e per pagare trovo in tasca il biglietto consegnatomi là fuori dal “lupo mannaro”. È azzurro e ci ha su solo un numero. Sembra un “telefono”, perché tiene anche il prefisso. Me lo guardo, me lo studio poi guardo in altro la cornice a stucco del soffitto. Lo ripongo. Mi scolo la birra e riparto.  
Mi viene un pungolo, una voglia. Qualcosa come un martelletto che mi sbatacchia sulle tempie; un battito imperioso che non riesco ad ammansire. Non mi indurre in tentazione, oppure sì, indumici-ci – come a riscattare quel vuoto, o a schivarlo, come il duellante con un fendente. Potrei comporre quel numero, chiamarlo: è questa la pulce battente dentro il mio orecchio. Già. Perché no? Perché sì? Bah, chi ci azzecca? Però, potrei chiamare, sì, potrei, perché no?, chissà chi risponderebbe, magari un cretino arrogante e con la pancetta, pronto a mandarmi al diavolo. Chissà … O magari una fata avvenente, in cerca di compagnia … sogni, illusioni bianche e nere, tanto per scacciare lo sconforto e per opporre alla cupa lamentela del Föhn sul lago, là fuori, un altro canto, un “allegretto”, un divertissement, chissà …
Pronto?; Sì? (una voce roca, remota, mi sembra di poter dire); Salve (imbarazzo). Scusi sa. Non ricordo a chi devo questo numero, ma trovandomelo in tasca … con chi parlo, mi scusi?; sono Andrea – mi fa la voce roca -; Ma sì, certo, Andrea. Scusi. Mi ero scordato; Ma, scusi lei, con chi ho il piacere?; Io? Ah, già, sì no, cioè … - mi sono impappinato -, no sarà meglio le dica la verità.; La verità?; - mi fa la voce roca e solo adesso colgo l’accento vagamente esotico (la erre)- Ma lei, dico, non è di qui, non  è vero?; Sono del nord, ma vuole dirmi con chi parlo?; Del nord? Ah, scusi sa, sono un po’ testone e del resto inebetito dalla noia, dalla tetraggine …; Ma chi è?; Oh sì, signor Andrea, ora …; Signora! Signora Andrea!; Ahi, la prego di avere pietà, sa la voce roca …; Esco adesso da una indisposizione, ecco il perché del mio tono!; Scusi, scusi, scusi tre volte. Non lo so perché le telefono. La verità è che ho semplicemente trovato per caso questo numero … e, niente, tutto il niente … il vuoto … no, mi scusi di nuovo, un caro saluto, addio …
Riattacco. Ecco, ho trovato ancora un modo per rendere più tediosa, più insopportabile questa farsa di vita. Ora ci sarà qualcuno ancora al mondo a sapere della mia nullità, a conoscere che non sono niente, che vivo per niente. Il lago forse, Sì, dentro il lago … piccole onde lussureggianti inarcano ali barocche inverso la riva e invitano al ballo … vuoi ballare? VUOI ballare? … No. No. Vorrei e non vorrei …
Il telefono guaisce da solo: un animale piccolo piccolo, dentro la mia tasca, mi richiama come volesse farmi un favore.
Sì, chi è?; - chiedo con una voce così oscura che non credo sia mia.- Sono io, Andrea. Non so perché lei mi ha chiamato, né chi sia. Ma il suono della sua voce ha qualcosa di una preghiera; Cosa?; … e, ecco, non vorrei mancare di rispetto a … una preghiera. Lei ha bisogno di aiuto, mi pare.; Io? – dico annichilito -, non so … - E non so che dire a questa voce che mi pare venuta dal cielo. - Non so, non lo so … Io volevo solo buttarmi nel lago, poco fa; Eh? E perché?;  Non lo so, non lo so. C’è così tanto vento e le acque sono così increspate, scontente. Non lo so, magari sotto è tutto calma e voluttà, come diceva qualcuno …; Sotto l’acqua del lago, intende?; Sì, cioè …; Un momento. Ma di che lago parla?; È Lecco. Mi trovo a Lecco.; Ah, ora capisco. Per caso il mio numero è scritto su una carta azzurrina?; Già, è così.; Quel bastardo …; Scusi?; È il numero del mio smartphone. È nuovo e l’avevo scritto là sopra e consegnato al mio compagno. Era in viaggio d’affari, diceva, quel porco. Invece vengo a sapere da altri che se l’è squagliata a Lecco appunto con una sciacquetta diciannovenne.; Mi … mi duole, mi scuso ancora.; No, niente scuse. Vuole vedermi? Sono sulla quarantina, ma non sono ancora da buttar via, le assicuro.; No, che dice? Sono certo che lei è bellissima.; E che, ci vede al telefono? Ma vediamoci comunque. Non sono niente male, vedrà.; Non … non devo più “entrare” nel lago?; Non dica scemenze. Domani è domenica, suppongo sia libero. Venga qui a Milano, all’entrata principale del castello, verso mezzogiorno. Che ne dice?; Non … non lo so. Co … come farò a riconoscerla? Io non; … Indosserò un cappello vistoso e mi trascinerò dietro il mio cane, un labrador. Non può sbagliare.; Non … lo … so … Okay. Va bene. Niente lago.; Okay, a domani …
Ha riattaccato.
C’è, sento un  vuoto esagerato dentro. E il vento insiste sull’acqua, dandole tormento e filo da torcere, per così dire. Ma all’improvviso non m’importa più di nulla. Il lago, il vento, il Manzoni, la morte … andate al diavolo. Adesso conta solo questo: come vestirsi?
Che superficialità. Come vestirsi … eppure, quando ci si veste in un modo, o in un altro, si vuole trasmettere qualcosa, inviare un messaggio. La domanda suona quasi meglio così: come apparire? Come mostrarsi, specialmente una prima volta? Se per esempio mi presento “casual”, non rischio di sembrare “inferiore” al tipo drammatico che voleva sparire nell’acqua? Non dovrei arrivare un po’ più compassato, non dico elegante, ma sobrio, non vistoso, né troppo disinvolto? Il fatto è che io sono un po’  “americano” nel vestire, anzi italo-americano. Dismettendo i miei abiti abitudinari, diverrei un  bugiardo. Farei semplicemente la parte della persona seria, assennata, educata, e non quella che mi si addice. Già, ma quale “parte” mi si addice? Magari, la disperazione … e come s’acconcia un disperato? Qual è il look della nullità della vita? Come si veste la vita che non vale un accidente? A lutto? Ahimè …
Lascia perdere. Lascia perdere! Dove vuoi andare? Cos’è, un “appuntamento galante”, vogliamo scherzare? Quella vuole solo rendere al marito, o chi sia, la stessa moneta. Credi davvero alla sua indulgenza? Per uno sconosciuto? …
Il nero, ecco, potrei mettermi in nero, come certi concertisti: calzoni neri e maglione nero, col collo alto. Un’aria da intellettuale, da uomo impegnato che non pensa a tali sciocchezze. E invece sarebbe la conseguenza di queste “gravi” considerazioni, di questo lambiccamento assurdo, che non riesco a strapparmi dalla testa. Basta. Mi vesto in modo anonimo, che non significa nulla … così neanche mi vede, neanche si accorge che sono lì, per lei … E comunque, per “lei” chi? Ma chi è questa dama, cosa vuole da me? O, viceversa, cosa voglio da lei?
Oggi è domenica. Mi sono alzato e ho bevuto un caffè. Mi sono vestito senza pensare, con la roba di ieri addosso. Sto andando all’appuntamento. Sono sceso a “Cadorna” e vedo il castello. Svolto a sinistra, laggiù, la fontana, davanti alla torre del Filarete. Lei sarà lì, là sotto. Sono vestito come si deve, sono io, non una maschera, non un alter costruito apposta per l’occasione. Mi presenterò così, senza infingimenti, senza falsità. Oh, cavolo. La vedo. Sì, è assai bella. Penso a quel cretino che l’ha ingannata. Ora vado. Anzi, no. Mi siedo sul bordo della fontana: lei non può riconoscermi se non mi presento. Io non ho un cane, né un cappello. Mi alzo, faccio per andarmene, mi risiedo.
È da ieri che non penso più al suicidio …

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