Scritto da © Hjeronimus - Dom, 02/11/2014 - 14:29
Perché c’è qualcosa e non il nulla?
Questa semplice questione, posta dai filosofi illuministi, è ovviamente meno scema, meno semplice di quel che appare. Essa si riconduce immediatamente ai primordi dell’avventura cosmogonica e di conseguenza ad almeno una triade di “perché”ulteriori, i quali rimandano a tre quadri di base: il Big Bang, la storia, il principio. Tutti annodati in un groviglio unico: Perché c’è il principio? Quale necessità, quale cogente, intrinseca “spinta” induce nel buio della notte cosmica quel “conato” di potenza universale che chiama la materia ad esistere? Non possiamo saperlo, ma sappiamo che da quel milionesimo di secondo in poi, incomincia la Storia.- la storia delle cose, non ancora dell’essere, la storia del “qualcosa invece del nulla”.
Ma non stiamo parlando della materia. Questa è compulsata dalle “forze”. Ciò che nasce è la direzione che tale oggettività intraprende. È la nascita del Tempo.
Già, ma per andar dove? Per i credenti la pratica è facilmente espletata. In quanto dipendente dalla volontà di Dio, il creato ha l’obiettivo finale di ricongiungersi a Lui. Facile risoluzione che facilmente si disarticola. Se stiamo cercando nel cosmo quel senso razionale che la ragione assegna invece alla logica della evoluzione naturale, allora che senso avrebbe muovere da un “volere di Dio” per poi ricondurvisi? Perché uscire dal Dio e poi tornare a Dio, se fosse Lui a volerlo e Lui fosse il logos divino, ossia la divina sapienza logica?. Ma sappiamo ancora questo: L’universo non è voluto. Non c’è nessuna volontà nella costituzione, per altro ineccepibile, dell’universo..Esso è spontaneo, Dio o non-Dio che sia alle sue spalle. Come diceva Hawking?: “Se anche vi fosse un Dio, l’universo non avrebbe potuto farlo diversamente”.
Ricapitoliamo: qualcosa, e non il nulla, spinge al fine di esistere come materia (che non è che una direzione della velocità, cioè tempo); all’interno di questa, qualcosa spinge per esistere come vita e dentro la vita qualcosa spinge verso lo “intelligere”. cioè infine verso la logica.
Perché? Potremmo persino dedurre l’un “perché” dall’altro e risalire dalla necessità del logos a quella della vita, e da questa al “qualcosa”, che è tempo, energia, velocità. Ma l’ultimo passo ci è precluso ed è insondabile il senso che muove l’alba di qualcosa…
Dunque, cosa anima qualcosa? Cosa costringe a estroflettere, a evocare la cosalità dal niente? Cosa è che esplode nel Big Bang? Una compressione, una condensazione? Ma di che? E anche ammesso che sapessimo questo, cosa succede, cosa è questo accadere? A che scopo? Può esserci qualcosa come uno scopo? Questa mostruosa catastrofe originaria, è l’atto di una creazione? Di un’auto-creazione? Se rispondiamo di sì, dobbiamo ammettere anche un senso a tutto ciò. E se c’è un senso, c’è anche la logica, il che renderebbe il Big Bang immediatamente trascendentale.
Prendiamo in considerazione questa pletora (da Borges): God is in the macking, Dio si sta facendo. La spinta tragica dell’inizio è come la doglia di un parto transustanziale che dal nulla partorisce la materia, cioè il tempo. Poi lascia fare, e dal tempo – la materia, il qualcosa – sorge l’organico e da lì l’essere. Il passo successivo sarebbe quello: God is in the macking. Il senso qui sarebbe: Dio dimostra a se stesso la propria esistenza, concreandosi insieme a ciò che crea. È macchinoso e il senso è de-costruito: esso si evince dalle conseguenze invece che dalle premesse. È ciò che abbiamo già a disposizione. E non dimostra alcunché… Cerchiamo una premessa che dia senso al prima del principio, non un senso pregresso, escogitato come una qualsiasi trovata, come fantascienza. Cerchiamo di sapere se esiste un perché logico e coerente all’evento primordiale che abolisce il nulla e dà il qualcosa. E se il qualcosa è il tempo, il nulla dovrebbe coerentemente identificarsi come abolizione del tempo. Forse si tratta proprio di tentare di immaginare questo: se il tempo è tolto e ammettiamo una coerenza logica, ossia un senso, al muovere dell’universo, il nulla dialettico come antitesi del tempo dovrebbe comunque continuare a contemplarlo quel senso, perché è da lui che dovrebbe procedere. Dunque, cosa è (sarebbe meglio dire: non è) il nulla? E cosa contiene? C’è qualcosa al suo interno? “C’è” dentro il “non c’è”?
Sicuramente abbiamo una “spinta”. Non può darsi una conflagrazione cosmica senza una causa. E già qui si intravede, non dico un senso, ma almeno un volere, un “andare verso”, perché sicuramente c’è una metamorfosi: se anche non esiste un prima, avviene comunque un dopo, dopodiché “qualcosa” si è mosso, ha spinto, ha voluto. Se anche pensiamo la condizione del non-tempo, al di là della creazione, comunque vi è l’avvento del tempo, quindi un movimento, una mutazione- magari non del “prima”, perché se questi è nulla non può mutare. Magari non c’è proprio un “prima”, non essendo questo nulla. Ma c’è l’avvento, l’epifania: improvvisamente si spalanca un dopo. Il niente che non è diventa qualcosa. E questo qualcosa, guarda un po’. sprigiona significato da tutti i pori. Infatti dà luogo ad una evoluzione che porta necessariamente fino a noi. E come mai questa cosa pregna di senso nasce invece da un nulla dissennato e inesistente?
Forse non v’è un luogo, una parte ove questo avvento si manifesta. Forse il tempo è una specie di nicchia di qualcos’altro, che non possiamo vedere, toccare, conoscere. Forse l’universo non sta da nessuna parte: è solo la porta spalancata del tempo. E tuttavia, anche in nessun dove, è la macchina del senso che corre all’unisono dei nostri cronometri .Il qualcosa è materia, la materia è tempo, ma il tempo, questa è la nostra conclusione, è senso. E il senso è logos. Perciò, vorremmo dire, in principio era il verbo.
Questa idea è e non è laica. Il senso che cerchiamo di appurare potrebbe e non potrebbe configurarsi come Dio e in quanto tale sublime, trascendente. Ma questo passo è “troppo” avanti e non vogliamo compierlo. Sarebbe già molto se riuscissimo a mettere insieme il logos e il senso e dimostrare, almeno come ammissibilità, che la cosa e il senso coincidono. Il che sarebbe già abbastanza “sublime” da appagarci.
Questa semplice questione, posta dai filosofi illuministi, è ovviamente meno scema, meno semplice di quel che appare. Essa si riconduce immediatamente ai primordi dell’avventura cosmogonica e di conseguenza ad almeno una triade di “perché”ulteriori, i quali rimandano a tre quadri di base: il Big Bang, la storia, il principio. Tutti annodati in un groviglio unico: Perché c’è il principio? Quale necessità, quale cogente, intrinseca “spinta” induce nel buio della notte cosmica quel “conato” di potenza universale che chiama la materia ad esistere? Non possiamo saperlo, ma sappiamo che da quel milionesimo di secondo in poi, incomincia la Storia.- la storia delle cose, non ancora dell’essere, la storia del “qualcosa invece del nulla”.
Ma non stiamo parlando della materia. Questa è compulsata dalle “forze”. Ciò che nasce è la direzione che tale oggettività intraprende. È la nascita del Tempo.
Già, ma per andar dove? Per i credenti la pratica è facilmente espletata. In quanto dipendente dalla volontà di Dio, il creato ha l’obiettivo finale di ricongiungersi a Lui. Facile risoluzione che facilmente si disarticola. Se stiamo cercando nel cosmo quel senso razionale che la ragione assegna invece alla logica della evoluzione naturale, allora che senso avrebbe muovere da un “volere di Dio” per poi ricondurvisi? Perché uscire dal Dio e poi tornare a Dio, se fosse Lui a volerlo e Lui fosse il logos divino, ossia la divina sapienza logica?. Ma sappiamo ancora questo: L’universo non è voluto. Non c’è nessuna volontà nella costituzione, per altro ineccepibile, dell’universo..Esso è spontaneo, Dio o non-Dio che sia alle sue spalle. Come diceva Hawking?: “Se anche vi fosse un Dio, l’universo non avrebbe potuto farlo diversamente”.
Ricapitoliamo: qualcosa, e non il nulla, spinge al fine di esistere come materia (che non è che una direzione della velocità, cioè tempo); all’interno di questa, qualcosa spinge per esistere come vita e dentro la vita qualcosa spinge verso lo “intelligere”. cioè infine verso la logica.
Perché? Potremmo persino dedurre l’un “perché” dall’altro e risalire dalla necessità del logos a quella della vita, e da questa al “qualcosa”, che è tempo, energia, velocità. Ma l’ultimo passo ci è precluso ed è insondabile il senso che muove l’alba di qualcosa…
Dunque, cosa anima qualcosa? Cosa costringe a estroflettere, a evocare la cosalità dal niente? Cosa è che esplode nel Big Bang? Una compressione, una condensazione? Ma di che? E anche ammesso che sapessimo questo, cosa succede, cosa è questo accadere? A che scopo? Può esserci qualcosa come uno scopo? Questa mostruosa catastrofe originaria, è l’atto di una creazione? Di un’auto-creazione? Se rispondiamo di sì, dobbiamo ammettere anche un senso a tutto ciò. E se c’è un senso, c’è anche la logica, il che renderebbe il Big Bang immediatamente trascendentale.
Prendiamo in considerazione questa pletora (da Borges): God is in the macking, Dio si sta facendo. La spinta tragica dell’inizio è come la doglia di un parto transustanziale che dal nulla partorisce la materia, cioè il tempo. Poi lascia fare, e dal tempo – la materia, il qualcosa – sorge l’organico e da lì l’essere. Il passo successivo sarebbe quello: God is in the macking. Il senso qui sarebbe: Dio dimostra a se stesso la propria esistenza, concreandosi insieme a ciò che crea. È macchinoso e il senso è de-costruito: esso si evince dalle conseguenze invece che dalle premesse. È ciò che abbiamo già a disposizione. E non dimostra alcunché… Cerchiamo una premessa che dia senso al prima del principio, non un senso pregresso, escogitato come una qualsiasi trovata, come fantascienza. Cerchiamo di sapere se esiste un perché logico e coerente all’evento primordiale che abolisce il nulla e dà il qualcosa. E se il qualcosa è il tempo, il nulla dovrebbe coerentemente identificarsi come abolizione del tempo. Forse si tratta proprio di tentare di immaginare questo: se il tempo è tolto e ammettiamo una coerenza logica, ossia un senso, al muovere dell’universo, il nulla dialettico come antitesi del tempo dovrebbe comunque continuare a contemplarlo quel senso, perché è da lui che dovrebbe procedere. Dunque, cosa è (sarebbe meglio dire: non è) il nulla? E cosa contiene? C’è qualcosa al suo interno? “C’è” dentro il “non c’è”?
Sicuramente abbiamo una “spinta”. Non può darsi una conflagrazione cosmica senza una causa. E già qui si intravede, non dico un senso, ma almeno un volere, un “andare verso”, perché sicuramente c’è una metamorfosi: se anche non esiste un prima, avviene comunque un dopo, dopodiché “qualcosa” si è mosso, ha spinto, ha voluto. Se anche pensiamo la condizione del non-tempo, al di là della creazione, comunque vi è l’avvento del tempo, quindi un movimento, una mutazione- magari non del “prima”, perché se questi è nulla non può mutare. Magari non c’è proprio un “prima”, non essendo questo nulla. Ma c’è l’avvento, l’epifania: improvvisamente si spalanca un dopo. Il niente che non è diventa qualcosa. E questo qualcosa, guarda un po’. sprigiona significato da tutti i pori. Infatti dà luogo ad una evoluzione che porta necessariamente fino a noi. E come mai questa cosa pregna di senso nasce invece da un nulla dissennato e inesistente?
Forse non v’è un luogo, una parte ove questo avvento si manifesta. Forse il tempo è una specie di nicchia di qualcos’altro, che non possiamo vedere, toccare, conoscere. Forse l’universo non sta da nessuna parte: è solo la porta spalancata del tempo. E tuttavia, anche in nessun dove, è la macchina del senso che corre all’unisono dei nostri cronometri .Il qualcosa è materia, la materia è tempo, ma il tempo, questa è la nostra conclusione, è senso. E il senso è logos. Perciò, vorremmo dire, in principio era il verbo.
Questa idea è e non è laica. Il senso che cerchiamo di appurare potrebbe e non potrebbe configurarsi come Dio e in quanto tale sublime, trascendente. Ma questo passo è “troppo” avanti e non vogliamo compierlo. Sarebbe già molto se riuscissimo a mettere insieme il logos e il senso e dimostrare, almeno come ammissibilità, che la cosa e il senso coincidono. Il che sarebbe già abbastanza “sublime” da appagarci.
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