Scritto da © Hjeronimus - Dom, 07/05/2017 - 17:09
Una poco di buono evade dal carcere di Doullens, nel nord della Francia. Non è neanche maggiorenne, ma già mezzo alcolizzata, battona e fumatrice accanita. Siamo negli anni cinquanta dell’altro secolo. Nel saltare dal muro della prigione si frattura l’astragalo del piede sinistro. L’astragalo è in pratica il “tacco” del piede, fa da contrafforte al medesimo, consentendo la nostra posizione eretta. Non s’aggiusterà più del tutto; sarà per sempre una puttana zoppa - un “sempre” comunque breve assai perché ella morirà di lì a poco, non ancora trentenne.
Questa storia di una vita mancata e marcita prima di fiorire, ci riguarda comunque, perché, come accade che dalla putrefazione possa germinare un qualche fiore più che decente, da questo vergognoso e fuggevole trancio di vita sorge una letteratura che la salva. Perché la puttana zoppa, Albertine Sarrazin, ci lascerà un testo mozzafiato, il racconto incantevole della sua straziante abiezione. “L’astragalo” è un grande libro scritto dalla piccola e giovanissima autrice in galera. Un racconto in cui la bassezza della trama è sublimata dalla forza poetica di chi scrive. Come Mozart, altro sublime “mascalzone”, l’autrice non ha ripensamenti, né rimorsi: scrive di getto con una tale perfezione da instillare quasi un po’ di paura. Dentro il suo corpo violentato, martoriato e prostituito alita la scintilla del genio, capace di gettar luce su qualsiasi tenebra degenere e di rendere in purezza la più reietta turpitudine. Un po’ come Baudelaire che trasforma in oro il fango di Parigi, Albertine trascina all’empireo luminoso la sua miserabile avventura terrena. E speriamo almeno che si sia guadagnata il paradiso …
Leggendo questo libro doloroso senza saperlo, viene in mente “fino all’ultimo respiro”, film quasi coevo, sovranamente interpretato da Jean-Paul Belmondo. Ove le sciagurate disavventure di un malvivente volgono in tragedia una vita vissuta all’insegna della rivolta. Così come pure quella di Albertine.
Questa storia di una vita mancata e marcita prima di fiorire, ci riguarda comunque, perché, come accade che dalla putrefazione possa germinare un qualche fiore più che decente, da questo vergognoso e fuggevole trancio di vita sorge una letteratura che la salva. Perché la puttana zoppa, Albertine Sarrazin, ci lascerà un testo mozzafiato, il racconto incantevole della sua straziante abiezione. “L’astragalo” è un grande libro scritto dalla piccola e giovanissima autrice in galera. Un racconto in cui la bassezza della trama è sublimata dalla forza poetica di chi scrive. Come Mozart, altro sublime “mascalzone”, l’autrice non ha ripensamenti, né rimorsi: scrive di getto con una tale perfezione da instillare quasi un po’ di paura. Dentro il suo corpo violentato, martoriato e prostituito alita la scintilla del genio, capace di gettar luce su qualsiasi tenebra degenere e di rendere in purezza la più reietta turpitudine. Un po’ come Baudelaire che trasforma in oro il fango di Parigi, Albertine trascina all’empireo luminoso la sua miserabile avventura terrena. E speriamo almeno che si sia guadagnata il paradiso …
Leggendo questo libro doloroso senza saperlo, viene in mente “fino all’ultimo respiro”, film quasi coevo, sovranamente interpretato da Jean-Paul Belmondo. Ove le sciagurate disavventure di un malvivente volgono in tragedia una vita vissuta all’insegna della rivolta. Così come pure quella di Albertine.
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