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Grammatica interiore

Parlo la lingua oscura di passioni
Nere d’inchiostro. Biascico parole
Smerciandole composte in versi senza
Troppo curarmi di coloro, tanti,
che non desiderano liquidare
il balzello esecrabile del mondo.
Per me, lo pago ogni fredda mattina
Nel passeggio col cane, tra il silenzio
Di mura, soglie e finestre che tacciono
La marea della disperazione.
Quale grammatica implora d’usare
L’io inetto e maldestro per cospirare
La morte di dio?
 
Perché, domando, il mio poetare
(sgraziato verbo per dire il mistero
Delle mani sporche d’eterno)
S’ostina lungo strade irte d’insidia?
Altri poeti cantano del sole,
dell’intenso profumo d’una mammola
o come dir si voglia lo scontato
d’una stucchevole semplicità.
Per me riserbo l’arrancare
Di chi s’appropria di quanto non spetta.
 
Si, architetto, pianifico la fuga
Nel dove l’intimo grembo feconda
Il germe pullulante dello spirito.
Saranno squarci sul sereno, certo,
boschi e radure, sentieri interrotti,
il lavoro del fare trafficando
sulle emozioni offerte in custodia.
Cosa sarà del bello e dell’incombere
Tutto della natura e attorno al senso
Che scuote il significato in domande?
 
Mi devo accontentare, per adesso,
di sogguardare dalle imposte
socchiuse: troppa luce punge gli occhi
stanchi. Fuori sussulta un mondo
si dipana l’esistere hic et nunc.
 
Nient’altro, adesso! Devo caricare
Olio Nel lume per non inciampare
tra la folla che urla il miglior prezzo:
chi oserà rovesciare i banchi
dei mercanti? Troppo rancore e odio
pestano le passioni.
 
 
 

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