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L’uso del pensiero può aprire, alcune volte, la porta verso il mistero e, poche altre, permettere la rivelazione di qualche sci

 
L’uso del pensiero può aprire, alcune volte, la porta verso il mistero e, poche altre, permettere la rivelazione di qualche scintilla
 
°
non ho
bisogno di parlare
quando la memoria mi
riporta alle costruzioni delle
prime nuvole
quando non avevo occhi
che per il cielo
infilandomi negli spazi stretti della
tristezza dei vicoli
che sfidano tutte le
luci con i
muri a verticale sulle
storie del giorno
eppure scrivo continuamente sulle
intensità delle pene e del dolore
tornando ogni volta al
suono battente delle
tempeste di
quella pioggia forte
che sfonda i
vetri delle finestre
dove metto le mani a
coppa per
tentare di raccogliere
almeno
qualche goccia di quell’acqua
salutare
che si forma come a
piccolo ruscello
nel palmo di mano la
stessa identica mano
che ha presunzione d’accostarsi
determinata
al mistero del potere della
magia
 
°°
non ho
bisogno di guardare
quando eseguo i
passaggi necessari per
giungere ai cerchi della
salvezza eterna quando
senza posizione di
preconcetti
muovo di passo in passo
lasciando cadere le
parole come dall’orlo di
un precipizio molto profondo e
di certo pericoloso a
caderci dentro
quando stringo forte gli occhi a
farmi male
chiudendoli sulle verità
che solo il silenzio sa trasmettere
quando ho cuore
che sussulta come negli
uragani
in quegli istanti
che parlano di secoli
nel tentativo maldestro e comune in
difesa delle proprie posizioni
un rifiuto o soltanto la
scelta di possedere l’aria
che ci veste
nascosto nelle crepe delle
speranze
in una posa da inginocchiato come in
preghiera di un sentimento
eterno e per tutto
questo continuo pensiero
riprovo ad intonare il
canto dei grani d’oro in
onore di chi ho scelto per
darmi fuoco
veloce come una
lenta percezione
aggrappato alla terra con la
forza delle sole unghie
spingendomi lontano dalla
bocca del ghiaccio
laggiù al centro dell’isola delle
più malvage qualità umane
e dei più sensazionali purgatori
che tra mille anni
potrebbero riaffidarmi alla
conclusione del
paradiso o
separarmi da
ogni vincolo di salvezza
decretando per me le
fiamme eterne nelle
crepe a luce viva del
vecchio profondo infernale
movimento
 
°°°
neanche perciò
discuto la colorazione dei
suoni la
verità è che ho fatto oltre
cento tentativi per
affacciarmi nella
consapevolezza che
si vede anche attraverso i
fruscii
come percezioni di
forme in gioco di ballo
che si stagliano da
ombre sul fondale del
cielo in
un sentiero affollato di
fantasmi in una
favola senza modernità
che richiama la validità dello
stregone
che intercetta le catene della
normale prigionia
spezzando gli
impedimenti e liberando ogni
raggio
perché di liberazione
dobbiamo pur parlare
nelle sere d’estate quando
giriamo senza meta
uguali al resto dei
secoli
che sono stati e che saranno
come luci inesistenti se
non nei calvari di
queste ambigue fratellanze
dove si aboliscono per
decisioni unanimi
le finalità di tutti gli
amori
separando le follie da
ogni altra coscienziosa
sudditanza
perché da prigionieri si
confina nelle segrete
pietre dell’immobilità
al contrario del vento del
sole
che canta i fulmini di
tutte le direzioni
dove si vive morendo di
sorrisi
colpevoli di
concretezze e convinzioni
ché di follia si riesce sempre a
volare
 
 
Vorrei, a questo punto, porre un segno di avvertenza, come si usa nelle medicine con il foglio delle controindicazioni, per gli amici che seguono spesso i movimenti delle piccole stranezze similpoetiche, che continuano presuntuosamente ad emergere dalle mie paludi. Questa sconcezza si è presentata sotto forma di incubo in uno di quei risvegli da apnea di cui è disseminato il mio precarissimo sonno. Avevo ascoltato le solite pessime notizie dei tg serali e le avevo confrontate con qualche videata da asporto da rete e le avevo relegate nella consueta rassegnazione per la collettiva dismissione allo sdegno e anche alla collera. Avevo in circolo una frase, un rigo  appena (per dirla con Manuel Puig) quella notte di un paio di mesi fa, quando alle 3.33 decisi di onorare la stranezza che mi fa svegliare ogni notte almeno una volta ad un orario composto da tre numeri uguali. Mi ero alzato dal letto e, inconsapevole del tutto, in una sorta di dormiveglia, avevo scritto, a matita sul primo foglio di un vecchio taccuino dell’hotel Clodio di Roma (ne prendo sempre nei miei viaggi, quando mi è dato farlo) questo sgradevole serpente di parole decisamente (a rileggerle) incomprensibili .  L’avvertenza sta nel fatto che non hanno riferimenti concreti con le realtà che ci circondano e, credo, ci tengono prigionieri. Né hanno attinenza con cose mie private se non a tratti e per brevi tragitti. Né potete volerci trovare cose che riguardano voi stessi, perché sarebbe questo si un fatto di mia grande, smisurata presunzione, aver compreso di voi quello che voi stessi non riuscite a comprendere. Perciò non cercateci significati, siate magnanimi con voi stessi, non date importanza a queste parole, prima di tutto perché non la meritano, poi per il fatto, semplice e chiaro, che sono state annotate e messe in fila nella più totale confusione, esagerando di molto nelle collocazioni, nei significati e negli errori. A tal riguardo, chiedo le attenuanti dovute ovunque per legge ai mentecatti e ai perditori di memoria. Vi abbraccio. 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 

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