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Una mia lettura di "Bestiario napoletano" (ed. Laterza 2015) di Antonella Cilento

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Chiunque abbia in animo un dolore, che è dolore di corpo e di terra, ferita, ma non morta; chiunque inclini alla naturalezza del vivere scrivendo, come se non avesse occhi ma fossi e scavatrici e in bocca piogge a galleggiare e genti, ovunque genti a scambiarsi preghiere e faccende, e umori e odori, e avesse come nello stomaco una nausea di andate e ritorni e mille approdi, sa che la scrittura è dimora, forma dei propri piedi, delle proprie mani, messe in grado d'accorgersi che scrivere è svegliare epigrafi di nostalgia, impaurirsi persino di bellezza e curare, accarezzare, contenere, in tutte le note possibili i rumori del tempo, tirarli come da un affresco, vecchie sinopie di facce  vivide e invitte ma pregne pregnissime di Storia; che è storia di amori di lucertole nel tufo, di strade a rotolarsi nello stomaco, livide, secche, inchiodate, bugiarde ma verissime e gravide e cieche, a fare olio di mare e pece nelle galere del cuore.
Tutta questa cavalcata di suggestioni per dire quanto abbia scavato (e navigato) nel proprio animo la sua città, la brava Antonella Cilento, per mostrarla nel suo Bestiario napoletano (ed. Laterza, 2015 pagg. 215) con tutta la grazia che gli occhi le hanno dato nell’indovinarla, lavorandola piano, nome a nome, pagina a pagina, come una figura venuta dalla pietra, con strati e strati di meraviglia e stupore, di amore scombinato, segreto, ma sanguigno e puro.  
 La Cilento si infila nella storia. Si muove come una ragna, ausculta come un medico. Dalle sue pagine emerge in piena chiarezza la fitta rete di collegamenti tra passato e presente nel corpo di una città stratificata e ricca: di cultura innanzitutto, giacché teatro di molteplici coinvolgimenti letterari e non solo, di vicende, livide e tragiche, e raminghe e romanze,  che ne hanno segnato  e forgiato il mosaico vivacissimo che conosciamo. Genti ed eventi all’opera, misteriosa e feconda, del tempo: pittori e letterati, santi, fantasmi, sognatori, sovrani e grandi architetti, musicisti, venditori di brodo, l’ampia gamma dei mostri animali, leggendari, presentissimi all’ombra dei semplici mestieri che la strada edifica e inghiotte;  uomini e donne allo scoperto di un sogno che li tiene  asserviti e mai allineati, tirati via da un vortice di  devozione, paura, genuinità, astuzia, ingegno. Il Bestiario li elenca, caratterizzandoli, nel novero dei secoli a rincorrersi nei reticoli brulicanti in cui si compie la città dei palazzi, delle chiese, dei fondaci, dei teatri, dei tanti tipi umani e delle bestie invise e adulate; degli acquafrescai e dei solochianielli; delle imprese in tutte le forme e  dei segreti via via staccati, come dardi dall’ombra di quadri barocchi, sotterranei e altissimi. E sono quadri che accolgono scritture a fondersi in un abbraccio solo del tempo, unendo la città e le genti in un interminabile fascinosissimo periplo.
Dalle antiche origini greche ad oggi, accompagnati, con profonda erudizione ma senz’alcuna pedanteria né di maniera né di vezzo, attraverso un linguaggio polito ma pieno di tornanti e denso come di chi abbia la lingua impastata nell’oro (ricavato a gocce di preziosissima letteratura), la Cilento cammina, e noi con lei, nell’arditissima, più che riuscita, impresa di raccontare Napoli: ed è gran privilegio davvero poterla seguire in quest’incontro di voci e attitudini così ben combinati tra passato e presente, a dar, nel variegato scenario di tipi e topos, l’immagine quale essa appare a chi la giri, oltre le strade, nei libri, che la nostra, si vede, ha così tanto amato e consultato. Ed ecco Cervantes tra scarrafoni e zoccole, e Sartre a inchiodarne l’anima in uno sguardo vitreo, di follia, fragilità, trasparenza; ed ecco ancora Boccaccio e Caravaggio, e Ribera, consegnati a una cronaca imperitura per cui ancora si vedono e si sentono il cerriglio e il malpertugio come sintomi vicinissimi  benché fascinosi d’una ostinata, forse anche erotica, paura; e giù, giù, fino alla schiera interminabile di artisti in un giro imponente di committenze regali e nobiliari per cui l’indescrivibile patrimonio architettonico e pittorico d’epoca medievale, bizantina, barocca e oltre, per scale e stucchi e affreschi dove hanno girato fantasmi e dinosauri e diavoli. E non fa meraviglia che cronaca e fiaba, leggenda e mito, e studio e amore per ogni forma d’Arte,  si innestino così bene nei pungoli d’una Matilde riottosa piuttosto nelle argute e livide occhiate di una Ortese, di un Patroni Griffi, di una Ramondino, ben dentro ogni minimo rivolo crociano alle cui acque, pure, la nostra, s’è così tanto dissetata.
Lasciamoci così guidare in quest’affresco, non privo di vena polemica ma gioioso e ironico al punto giusto, scritto con la cura in cui è solita darsi, da Autrice già acclarata qual è, la Cilento finalista del premio Strega con Lisario o il piacere infinito delle donne (Mondadori) infaticabile organizzatrice di eventi culturali, collaboratrice ormai ventennale del quotidiano Il mattino (dai cui archivi provengono molte delle pagine in questione), oggi in libreria con un’ennesima perla pubblicata dalla casa editrice NN La madonna dei mandarini.
A tutti buona lettura.
Giovanni Perri
 

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