Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso
involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente e quello che oggi vale ancora poco. Considero valore tutte le ferite. Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido,
chiedere permesso prima di sedersi,provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov’è il nord, qual è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l’uso del verbo amare e l’ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.
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“Per chi scrive storie all’asciutto della prosa l’azzardo dei versi è mare aperto”. Schermendosi, Erri De Luca trova così il modo per presentarsi, da autore già affermato qual è di romanzi e traduzioni colte, al pubblico certo meno vasto ma oltremodo sollecito e fervido di novità da espungere della letteratura in versi.
E’ il 2002 e l’autore, già cinquantaduenne, vede entrare nelle librerie, nella bianca collana einaudiana, di fianco a Rilke, a Pavese, a Beckett, la sua prima opera poetica a cui non a caso darà il titolo: “Opera sull’acqua”.
Comparire sugli scaffali troppo vicino ai grandi poeti della letteratura mondiale gli da evidentemente quel senso di vertigine e di venerazione che si ha di fronte alla montagna che si è appena scalato. Invero, dall’umiltà, da buon napoletano, egli staccherà una punta diamantina di orgoglio che brillerà come quell’opera sull’acqua che vuol far vedere soprattutto come una scommessa con se stesso.
Chi conosce anche marginalmente l’Erri De Luca romanziere non faticherà molto a riconoscere in nuce il poeta che con la parola scardina e assembla il mondo.
Sono quasi sempre tentativi di presa di una realtà che sfugge e si lamenta (come vento che strofina sul mare) e si interrompe sul limite del pianto: il novecento lacerato e scosso, furioso e vorticoso; la storia maiuscola e minuscola di ogni patria e di ogni singolo uomo; le derive in tutte le direzioni; lo scadimento e l’ottundimento di tutti i valori, di vita, di morte, di fede e amore.
Erri De Luca interroga passato e presente senza edulcorazioni scavando una materia poco malleabile e abrasa, consumata. La parola si spoglia e si corruga, diventa roccia, scudo, pungolo e sferza, grido di dolore e invoco dell’anima, sangue che scorre dentro le vene e si perde nelle strade polverose e acciottolate. L’ex militante di Lotta continua immerge i suoi pensieri nell’antico testamento, nella figura di Maria, di Cristo, scardinando e umanizzando, scrivendo un sentiero che porta alle guerre balcaniche, alle dolorose migrazioni dalle coste africane, alle afflizioni della povera gente da qualunque colpa afflitta; scavalca il tempo e lo comprime, ne ingoia l’amaro e lo sputa e quando vede un piccolo fiore non lo coglie e in ogni singola azione e in ogni cosa cerca un senso.
E viene da domandarsi se non sia proprio questo il destino dei poeti, di vibrare come corde dentro l’anima e inchiodare le cose a un senso: magari non compiuto.
- Blog di Giovanni Perri
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