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poesia n.11

Oggi sono morto undici volte
undici linee orizzontali sulla fronte
coni quadrati cubi
persino rettangoli 
persino grappoli d'aria incolore 

alberi su alberi tra i capelli
(una sequenza di rami indisciplinati)
rappresaglie di mani e piedi 
e attriti di ebano negli occhi
nomenclature che premono ai confini

si può morire di grammatica o di geometria 
finanche d'una semplice equazione
finanche un regolamento è un attimo di morte
uno specchio, il dorso d'un foglio, una ruota di gomma sull'asfalto
un complimento al cappello
non si contengono

sono morto alle cinque del mattino nelle finiture di una sveglia
sono morto al lavoro per otto ore di fila
(tra una morte e l'altra di soffitto, pavimento, e finestre aperte all'azzurro di luglio)
sono morto all'ipermercato
(sono morto vedendo gli occhi morti della cassiera) 
sono morto perché i gabbiani, nella mia città,
e i manifesti elettorali, finanche i cantieri del metrò e i fili del tram
sono morto perché ho smarrito la chimica e la geografia
sono morto al semaforo
(pochi alberi, poco cielo, catrame e corvi, molti corvi, una sfilza di balconi nauseati e scaglie di clacson)
sono morto in trattoria 
(miniere ortogonali di metallo, nessun odore o sapore meglio gatti randagi e nespole che siano nespole)
sono morto per mani secche come coralli
(mani educate, sceniche, ritmiche, oracolari) 
sono morto per vestiti 
(vertigini di luci al neon, manifesti di antiche civiltà)
sono morto per conteggi d'andata
(un'invasione di ricordi)
filastrocche, sentieri, fili di rame e argento. 

Se guardo d'intorno
se guardo il cielo satollo di nuvole
oltre campi spinati e altri indizi 
si spia da sola la morte.

Come un cane io sbuffo dal naso
il mio ventaglio di nodi 
il senso osceno dell'amore
che mi prende.

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