Scritto da © Gino Soloperte - Ven, 23/05/2014 - 10:56
Dopo una notte insonne legato come una macchina ad un’auto diagnosi, salgo in città per riconsegnare l’apparecchiatura che guardo con sospiro di libertà ma anche con sospetto, (chissà cos’ha registrato) di certo non i sogni ma le emozioni sicuramente. La città come sempre mi dà quel senso di modernità che libera la mente e li rende quasi realizzabili. Assolto quanto dovuto, preferisco fare ritorno al paese, senza fretta, così decido di fare una strada diversa dalla solita più comoda e veloce. Scendo dall’altopiano Ibleo per quelle strade strette e tortuose che un tempo erano le strade della transumanza. Da quelle strade posso, senza essere di intralcio, procedere lentamente e godermi la vista della valle, guardo i grossi camion sbuffare nella salita, senza temere cedo loro il passo aspettandoli dove la strada è un poi più larga, cosi pure ma senza nessun timore o rispetto anche a quei camioncini dei corrieri che s’arrampicano veloci e che si lasciano indietro nuvole di fumo nero. Il rispetto lo riservo a quei trattori che in coppia si recano nei campi per avvolgere l’ultimo raccolto di fieno. All’ultimo tornante mi fermo, tra qualche chilometro sarei nella valle e non godrei più di quella vista. Così con nella testa ancora il rumore della strada scendo e scavalco la barriera metallica che delimita la strada, ultimo baluardo verso la natura. Presto il rumore del venticello prende posto nel paesaggio. Guardo il falco che scivola nell’aria dipinge chissà cosa nell’azzurro che si perde all’orizzonte dove la foschia marina cela il confine tra cielo e mare. Presto prima di capire a cosa mira il falco lo perdo di vista sullo sfondo dei pini della forestale. I campi sono lavorati distinti da rovi nate sui gradoni che correggono il naturale pendio, siepi ribelli alla dittatura delle pietre assestate dai contadini, ogni campo segue ubbidiente l’avvicendamento colturale imposto dall’uomo avido ed interessato ma convinto coltivatore dei suoi esclusivi interessi. Ma senza questo potremmo solo guardare la natura che difficilmente si farebbe amare e godere. L’amore può distruggere, infatti, non il quanto si ama, ma il come si ama, conta e preserva. Finisco gli ultimi chilometri guardando quei luoghi anche con tristezza, rivedo alla luce del giorno quegli angoli, che in alcune sere, ho visitato furtivamente in cerca di pace e silenzio, dove non visto potevo rubare quelle carezze e godere di quelle tenerezze vietate. Ora che ho scritto queste parole che di certo non rivelano molto di quanto visto e goduto, posso ritornare alla mia solita e noiosa quotidianità.
Gino Soloperte
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