Il campetto di calcio attaccato alla scuola | Prosa e racconti | Gigigi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

To prevent automated spam submissions leave this field empty.

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • laprincipessascalza
  • Peppo
  • davide marchese
  • Pio Veforte
  • Gloria Fiorani

Il campetto di calcio attaccato alla scuola

calcio adolescente.jfif
                                                    I
Non ricordo molto bene quando fu fatto, probabilmente fu fatto quando la scuola venne completata, perché a mia memoria c'è sempre stato. Prima non aveva le porte, poi grazie al buon cuore del Comune, le porte vennero messe.
Per noi ragazzi del quartiere rappresentava molto. Era il nostro stadio, il nostro centro sportivo, anche se in realtà era solo un campo malmesso con due porte e molta erba incolta. L'unico posto a sedere era un grosso muretto di cinta che ne faceva da delimitazione dal lato della strada.
Quasi ogni giorno molti di noi ci andavano a giocare. Bastava un numero appena sufficiente per formare due squadre e il gioco era fatto.
Altre volte eravamo tantissimi, talmente tanti che quasi non si riusciva a giocare per la densità delle gambe che in modo più o meno ordinato, cercavano di intercettare il pallone.
Col tempo si iniziarono a organizzare anche dei piccoli tornei in cui sfidavamo i quartieri più esterni del nostro paese o di quello affianco. Quando questo succedeva allora la gente ai bordi del campo si faceva molto numerosa. Era tifo genuino, campanilismo di quartiere, orgoglio locale. Ritrovarsi a giocare con amici o “nemici” di zone più lontane era davvero bello.
Ricordo che a volte giocavamo per tutto il pomeriggio e che il gioco si interrompevamo solo perché ormai era ora di cena, ma era solo una pausa frettolosa perché appena finito di mangiare si tornava subito a giocare. Le squadre erano formate da noi ragazzi, chi arrivava dopo si inseriva nella squadra più debole in modo da riequilibrare le forze. I piccoli o quelli “scarsi” venivano presi per immeritata bontà, quasi per compassione. Fatto sta che era il primo caso di inclusione più o meno voluta della nostra giovane vita.
Col passare del tempo tutti i ragazzi sono cresciuti. Il campo era ormai desolatamente vuoto. Niente partite pomeridiane, niente tornei, niente sfide epiche. Ormai bambini che gridavano e litigavano non ce ne erano più.
 
Da un paio di anni però le cose sono cambiate. Tornando nella vecchia zona, non ho potuto fare a meno di vedere come il campetto ha ripreso vita più forte che mai.
Un gruppo sempre più numerose di ragazzi e anche uomini, ogni sabato e ogni domenica fa rivivere quel glorioso campo da pallone. I Latini, o come amo chiamarli i Latinos, si sono appropriati di quel campo, gli hanno ridato vita. Giocano e organizzano molti tornei con squadre con maglie ben distinte e tanto di pubblico.
Prima mi è arrivata un po' di rabbia...in fondo il campetto era nostro, della nostra zona...Che diritto avevano queste persone di appropriarsene ogni sabato e domenica. Poi però ho dovuto ammettere che quel campo ormai più nessuno della zona lo usava. E invece loro gli hanno ridato animo e vigore.
Corrono, gridano, esultano, si arrabbiano proprio come facevamo noi. Ci sono anche molte persone che fanno il tifo!
 
Forse loro sono la nostra continuazione, la continuazione delle nostre emozioni dei nostri sogni infantili, forse amano quel campo proprio come lo abbiamo amato noi. Non abbiamo saputo più dare continuità a quel campo. Ormai ci sono pochi bambini, e quei pochi raramente escono per giocare insieme. E allora ben vengano questi nuovi giocatori, da qualsiasi parte del mondo vengano.
Sono sicuro che ogni barriera ed ostacolo svanirebbe se solo provassimo a tirare due pallonate con loro, ritorneremmo ragazzi e cercheremmo di correre come come quando avevamo 12 anni.
Amo il loro sapersi ritrovare insieme, il loro vivere lasciando le nuove realtà ai bordi del campo. Sono una aggregazione, una comunità proprio come riuscivamo a esserlo noi. Perché in fondo tutto si ripete. Alla fine molti del quartiere venivano da regioni lontane, ma eravamo riusciti a superare ogni differenza e avevamo fatto delle nostre differenze una ricchezza. Il nostro paese ormai era quello, i nostri amici erano quelli che ci abitavano affianco e che avevamo imparato a voler bene.
Se non c'è continuità c'è solo desolazione e la desolazione porta solo un infinita tristezza.
Loro sono la nostra continuità. Quidi Hola chico...passa la pelota
Non ricordo molto bene quando fu fatto, probabilmente fu fatto quando la scuola venne completata, perché a mia memoria c'è sempre stato. Prima non aveva le porte, poi grazie al buon cuore del Comune, le porte vennero messe.
Per noi ragazzi del quartiere rappresentava molto. Era il nostro stadio, il nostro centro sportivo, anche se in realtà era solo un campo malmesso con due porte e molta erba incolta. L'unico posto a sedere era un grosso muretto di cinta che ne faceva da delimitazione dal lato della strada.
Quasi ogni giorno molti di noi ci andavano a giocare. Bastava un numero appena sufficiente per formare due squadre e il gioco era fatto.
Altre volte eravamo tantissimi, talmente tanti che quasi non si riusciva a giocare per la densità delle gambe che in modo più o meno ordinato, cercavano di intercettare il pallone.
Col tempo si iniziarono a organizzare anche dei piccoli tornei in cui sfidavamo i quartieri più esterni del nostro paese o di quello affianco. Quando questo succedeva, la gente ai bordi del campo si faceva molto numerosa. Era tifo genuino, campanilismo di quartiere, orgoglio locale. Ritrovarsi a giocare con amici o “nemici” di zone più lontane era davvero bello.
Ricordo che a volte giocavamo per tutto il pomeriggio e che il gioco si interrompevamo solo perché ormai era ora di cena, ma era solo una pausa frettolosa perché appena finito di mangiare si tornava subito a giocare. Le squadre erano formate da noi ragazzi, chi arrivava dopo si inseriva nella squadra più debole in modo da riequilibrare le forze. I piccoli o quelli “scarsi” venivano presi per immeritata bontà, quasi per compassione. Fatto sta che era il primo caso di inclusione più o meno voluta della nostra giovane vita.
Col passare del tempo tutti i ragazzi sono cresciuti. Il campo era ormai desolatamente vuoto. Niente partite pomeridiane, niente tornei, niente sfide epiche. Ormai bambini che gridavano e litigavano non ce ne erano più.
 
Da un paio di anni però le cose sono cambiate. Tornando nella vecchia zona, non ho potuto fare a meno di vedere come il campetto ha ripreso vita più forte che mai.
Un gruppo sempre più numerose di ragazzi e anche uomini, ogni sabato e ogni domenica fa rivivere quel glorioso campo da pallone. I Latini, o come amo chiamarli i Latinos, si sono appropriati di quel campo, gli hanno ridato vita. Giocano e organizzano molti tornei con squadre con maglie ben distinte e tanto di pubblico.
Prima mi è arrivata un po' di rabbia...in fondo il campetto era nostro, della nostra zona...Che diritto avevano queste persone di appropriarsene ogni sabato e domenica. Poi però ho dovuto ammettere che quel campo ormai più nessuno della zona lo usava. E invece loro gli hanno ridato animo e vigore.
Corrono, gridano, esultano, si arrabbiano proprio come facevamo noi. Ci sono anche molte persone che fanno il tifo!
 
Forse loro sono la nostra continuazione, la continuazione delle nostre emozioni dei nostri sogni infantili, forse amano quel campo proprio come lo abbiamo amato noi. Non abbiamo saputo più dare continuità a quel campo. Ormai ci sono pochi bambini, e quei pochi raramente escono per giocare insieme. E allora ben vengano questi nuovi giocatori, da qualsiasi parte del mondo vengano.
Sono sicuro che ogni barriera ed ostacolo svanirebbe se solo provassimo a tirare due pallonate con loro, ritorneremmo ragazzi e cercheremmo di correre come come quando avevamo 12 anni. La gioia sarebbe identica a quella della nostra adolescenza.Invidio il loro sapersi ritrovare insieme, il loro vivere lasciando le nuove realtà ai bordi del campo. Sono una aggregazione, una comunità proprio come riuscivamo a esserlo noi. Perché in fondo tutto si ripete. Alla fine molti del quartiere venivano da regioni lontane, ma eravamo riusciti a superare ogni differenza e avevamo fatto delle nostre differenze una ricchezza. Il nostro paese ormai era quello, i nostri amici erano quelli che ci abitavano affianco e che avevamo imparato a voler bene.
Se non c'è continuità c'è solo desolazione e la desolazione porta solo un infinita tristezza.
Loro sono la nostra continuità. Quindi: " Hola chico...passa la pelota "...

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 1 utente e 5268 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • Marina Oddone