8. Della libertà dei pensieri
Il nostro signore ha detto di dire che si sente catartico. Dice che vederci cadere sulla carta un po' indipendenti da lui gli dà un certo sollievo. Non avvertiamo più quel senso di paura dei giorni scorsi; ci guarda scivolare con indifferenza; non sembra preoccupato di noi; non sbarra niente. Si sente catartico! Che mai avrà voluto dire? Non è un pensiero conosciuto, nessuno di noi ne ha mai sentito parlare. Le nostre uniche possibilità di comprensione sono i pensieri già scritti sul foglio e una rapidissima comunicazione con quelli che stanno per arrivare, perché passino parola a quelli che stanno ancora più dietro e indaghino dovunque ne sappiano più di noi. Gli abbiamo promesso di non importunarlo con domande che riguardino la nostra venuta al mondo, di non fare capricci sul nostro modo di vestire, di non voler apparire più di quello che siamo e di non lamentarci né dispiacerci se dovessimo sembrare meno. Non ci costa molto mantenere queste promesse, anzi – visto che lui ora sembra così disinteressato da non leggerci neppure di sfuggita – confessiamo che il nostro desiderio è stato sempre quello di vivere liberi, di nascere senza tanti controlli e di andarcene in giro per il mondo, a liberare milioni e milioni di fratelli che vivono in teste distrutte da idealgie pericolose e contagiose. Sì, tra noi c’è stato qualcuno che tanto tempo fa ha teorizzato che noi conteniamo un’energia più potente di qualunque altra finora conosciuta. Qualcuno dice anche che tra non molto sarebbe possibile abbandonare l’uomo e migrare in altri esseri animali oppure in circuiti integrati. L’uomo tornerebbe rapidamente allo stato originario. Il nostro signore sta sorridendo. Catartico, che vorrà mai significare? Non capiamo se sorride perché si rende conto di noi o se è in contatto con qualche nostro fratello occulto. È evidente che non attribuisce grande rilevanza a quel che diciamo e certo non ci prende sul serio. Dalle sinapsi è arrivata una notizia tremenda: migliaia di pensieri sono esplosi nei pressi della Dura Madre. Dell’incidente si stanno occupando gli organi superiori di controllo. Nell’esplosione sono andate perse tutte le tracce di alcuni processi mentali in corso. Al momento dell’esplosione il nostro signore ha chiuso gli occhi ed ha strizzato le palpebre. Lui non sapeva nemmeno di averli quei pensieri e ci fa intendere di non essere interessato a questa notizia. Ripete che si sente catartico e ci dice che trova curiose le nostre divagazioni e che è proprio contento di averci lasciati un po’ in libertà.
9. Della festa dei pensieri
Il nostro signore stamattina ha invitato alcune sue amiche e ci ha letti con passione. Le parole si susseguivano e poi come un boomerang tornavano sui fogli, dopo essersi moltiplicate nei grembi delle sue ascoltatrici. Per noi è stato bellissimo. Lui si infervorava e faceva piccoli passi e gesti con le mani, disegnando figure forse un po’ goffe perché lui non è né un ballerino né un attore. Però noi sentivamo quanto bene ci vuole e quanto ne vuole alle sue amiche e lo abbiamo guidato trasmettendogli il nostro senso di libertà e cercando di comunicarlo anche a loro, che con lui soffrivano e godevano dei nostri casi. Loro stavano ferme ma lui sentiva le anime vibrare. Abbiamo incontrato tanti nostri fratelli e li abbiamo abbracciati. Quando si diceva di Dio, del Diavolo e del Nulla, dello Spirito Santo e della Madonna, c’è stata una manifestazione di intolleranza e alcuni pensieri ci si sono lanciati contro con intenzioni non pacifiche. Avevano sorrisi mistici ma brandivano piccoli oggetti acuminati. I morti delle Crociate hanno scosso la testa e Gesù è sceso un attimo dalla croce per ricontrollare il copione, chiedendo al Regista se quello che stava avvenendo sul Golgota sarebbe stato poi veramente comprensibile. Nessuna conferma ma anche nessun cambiamento e soprattutto nessun conforto. Perché mi hai dimenticato? Il Nulla non esiste e nessuno riesce a capire che diavolo possa essere ciò che non è, ma Gesù in quel momento l’ha visto e ha chiesto perdono al Padre per coloro che non sanno quel che fanno ma soprattutto per quelli che credono di saperlo.
10. Dell’amore e della morte
La libertà che il nostro signore ci concede determina in alcuni di noi uno stato di ebbrezza, in altri di smarrimento. Gli smarriti vagano increduli e insicuri, non temono la morte ma la vita. Il biancore della carta li acceca e preferiscono guardare dietro che avanti. Qualcuno muore sì, ma di paura. I pensieri ebbri di libertà corrono un po’ coraggiosi un po’ temerari. Per loro il biancore è sogno, terra di conquista.
[...] E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
(Giacomo Leopardi, Le ricordanze, 1829)
E l’eco del nostro signore:
Non più vedrai quel colle
ergersi nel sogno,
non più corolle ti daranno incenso
per coprir d’inganno il vero.
(Opera Quinta, Mortale-sogno-eterno, 1965)
E il suo maestro a lui:
E tutto quanto il ver pongo in obblio.
(Giacomo Leopardi, Il pensiero dominante, 1833)
Ed egli a lui:
Ed io ti dirò che t’amo,
ma tu non più
mi farai sognar l’amore.
Così unico ed ultimo
tornerà l’antico desiderio,
finalmente l’ultimo sogno,
gli ultimi incantevoli sospiri,
l’ultima richiesta,
o Morte!
Ti vorrò, t’amerò,
letale fanciulla bianca,
bacerò i tuoi capelli sciolti
e tu dirai: - Vieni amore…-
(Opera Quinta, Mortale-sogno-eterno, 1965)
E il suo duca a lui:
E tu, cui già dal cominciar degli anni
Sempre onorata invoco,
Bella Morte, pietosa
Tu sola al mondo dei terreni affanni,
Se celebrata mai
Fosti da me, s’al tuo divino stato
L’onte del volgo ingrato
Ricompensar tentai,
Non tardar più, t’inchina
A disusati preghi,
Chiudi alla luce omai
Questi occhi tristi, o dell’età reina.
(Giacomo Leopardi, Amore e Morte, 1833)
E il nostro:
Ti seguirò, ti vorrò seguire,
ed in eterno ci ameremo,
senza che altra morte
si possa sognare,
forse senz’altro sogno,
se non quello del passato perduto,
delle passate speranze,
che invano vorremo sperare,
ancora.
(Opera Quinta, Mortale-sogno-eterno, 1965)
E il grande:
Ogni vana speranza onde consola
Sé coi fanciulli il mondo,
Ogni conforto stolto
Gittar da me; null’altro in alcun tempo
Sperar, se non te sola;
Solo aspettar sereno
Quel dì ch’io pieghi addormentato il volto
Nel tuo virgineo seno.
(Giacomo Leopardi, Amore e Morte, 1833)
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