Maria. Così si chiama. La chiamano.
Trascina una sedia di plastica bianca
rubata al tavolino di un bar del corso.
Siede lì accanto, disturba? Non chiede.
Lo strusciare vociferante di anime
sfila indifferente, distratto -non vede-
lei muta assiste al coro -non chiede-
sembra far parte delle antiche mura.
Una sigaretta ciancicata tra le labbra
accende il profilo di pietra del suo viso
gli occhi senza voce interrogano l’eco
dei tuoi passi frettolosi -il tuo disagio-
Assisa su quel trono di plastica bianca
consuma la clessidra con dignità regale
poi la scacciano -ci sono i clienti Maria-
in silenzio lei abbandona e s’allontana.
Domattina come ogni giorno incrocerò
sotto i portici il suo passo strascicato, lei
-figura senza tempo di un tempo alieno-
reclama un posto, la dignità d’una sedia.
Due passi più in là, Maria.
- Blog di Franco Pucci
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