Scritto da © miresol - Dom, 25/07/2010 - 12:04
In un post precedente, Frammenti, avevo dato voce a una donna che strappa uno schizzo a carboncino che la ritraeva di spalle, eseguito dal marito molti anni prima. Qui immagino la risposta dell'uomo, forse il tono non è abbastanza maschile, ma volevo dare spazio anche a un altro punto di vista.
Ecco sei di fronte a me, tra noi sul tavolo, i frammenti di quello schizzo a carboncino da te tanto odiato. Hai avuto la tua vendetta: ridurre in frammenti le linee di un corpo che una volta ho amato. Mi dici che il tuo atto è metafora del nostro declino. E allora distruggere la raffigurazione del tuo corpo che cos’è, se non metafora di quella distruzione che stai operando da anni contro te stessa?
Quel mio sguardo che hai intravisto nello specchio è solo un riflesso del tuo, immagine della tua rinuncia. Mi parli di un volto, di quello che io non ho voluto ritrarre, che non ho saputo comprendere, delle nubi che c’erano allora sulla tua fronte quel giorno, come se io non le avessi colte: un inarcarsi delle sopracciglia, quella luce fredda negli occhi, il loro posarsi poi su chissà quali lontananze. Non avrei potuto trovare linee o sfumature per mitigarne l’amarezza, così invece dell’inquietudine della tua anima, ho scelto di ricordare la promessa del tuo corpo.
Parlo di anima e corpo, così divise da una barriera come tu le intendi, distinzione che per me non ha mai avuto senso; noi siamo interi, dobbiamo esserlo se vogliamo star bene; la crepa che tu avevi dentro, che hai ancora, è quella tra te e la vita. Vedi, sempre per star nella metafora, strappando quel disegno hai fatto scempio non solo delle tue spalle, della schiena, di quel culo stupendo (hai mai capito che la mia era una provocazione?) ma anche della possibilità di immaginare quel volto. Sappilo, quel giorno mentre lavoravo col carboncino, ho fatto tutte quelle battute sceme per cercare di farti sorridere, avevo bisogno del tuo sorriso, sì ti ho raffigurato di spalle, ma l’ho fatto pensando al tuo viso sereno, a te in pace con il corpo, con me, con l’anima e con il mondo.
La crepa poi si è fatta baratro.
Lo ammetto mi sono aggrappato in questi ultimi anni a quello schizzo; la carta ingiallita, i tratti sbiaditi, rappresentavano il mio affetto, ciò che ancora rimaneva nonostante le rughe, il tempo, le incomprensioni.
Adesso mi dici di scegliere tra te e quei frammenti, come se fossero due cose opposte, una in alternativa all’altra. Ma quei frammenti siamo noi, ciò che è rimasto del nostro rapporto. Sono frammenti così piccoli e lo strappo è così violento che non so se sarà possibile una ricomposizione. E ora ti guardo negli occhi, ti vedo, ma tu sai vedere te stessa?
E quanto di me hai capito oppure distorto fin da quel lontano giorno quando per accarezzarti ho tracciato queste linee col carboncino e tu le hai trasformate in una ferita?
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