Scritto da © fintipa2 - Lun, 05/08/2013 - 21:29
Raccontava mio nonno di quando gli spuntarono le ali e tutto il giorno
barcollando sugli scogli, urlava e piangeva inascoltato
tanto meno dai genitori persi in una guerra di quel secolo… forse.
Qualcuno però si prese cura di lui,
finchè, appresa l’arte di fiondarsi nel vento non raggiunse l’entroterra
di lecci e mandorli.
Conservò quella goffaggine di volatile anche quando nella sezione del PCI,
leggeva l’Unità ai pochi garofani senza Dio che sputavano a terra stami di toscano
bestemmiando se passava il prete e la processione del Corpus Domini.
Che vita era quella? tutta chiusa nella sicura di una ideologia che si diceva facesse tremare l’America
Ma dai! nessuno sapeva di quelle strane cose,
nessuno andava oltre parole magiche come Capitalismo, Rivoluzione, Sfruttamento, Braccianti…Addavenì…
Certo, di braccianti ce n’erano tanti e di fronte si aveva il Circolo Unione,
nido del vizio, dove nessuno di quei baffoni, allineati e con le falci
nel cuore avrebbe mai messo piede.
Raccontavano le delizie di giardino,
le bellissime mogli i gioielli in cui si concentrava il distillato della loro fronte
e cosa ne facessero del plusvalore
L’estate a mare, i viaggi in macchina a Parigi,
i profumi orientali la Cina
l’ Africa
ma dov’erano quei luoghi?
E poi le malattie strane, il diabete la gotta la sifilide.
Ricordo che quando andavo a cercarlo in quel covo di dannati,
mi colpiva un grande libro sempre a posto nello scaffale in noce:
la Sacra Famiglia.
Pensavo nel mio candore di bambino che lì dentro stessero scritte tutte le favole
che mi raccontava per tenermi la mano.
Si perché non era facile starmi dietro, anch’io avevo alette vispe e irrequiete,
magari ancora insicure ma bastanti per immaginarsi sopra un campo di grano
le onde, il faro e le colline di grotte e doline
di quell’ isola chiamata Murgia.
Io e il mio amico Tonio un giorno fingemmo di perderci
lui aveva il fiocco rosso della scuola sempre attaccato al collo
anche quando dovevamo passare per i campi
ed il sudore aumentava ad ogni passo.
E quasi affogavamo con quella fantasia d’inseguire lucertole grandi come alligatori.
Ma né io né lui avevamo mai visto il mare anche se mio nonno ce ne aveva parlato,
con quel significato di libertà che, come avrei scoperto più tardi,
distingue l’amore da qualsiasi altra cosa.
Cos’era il mare se non quella distesa al sole, quel bagnarsi di giallo
e scavare gallerie tra le spighe. Ci vivevano donnole e ramarri
ed era naturale giocare coi nostri compagni di primavera.
Mio nonno si accomodò sotto un leccio e aspettò che tornassimo fumando la pipa
sognando di quando era piombato su quella terra senza un soldo in tasca.
Quella volta però non vedendoci tornare si spaventò,
cercò di salire in alto con le sue ali rattrappite
e cadde rompendosi la schiena.
Da lontano vedemmo la scena, capimmo che era l’ora di tornare,
chiedemmo aiuto a un passante
ci mise un secolo per rinvenire ma non si riprese mai più.
Trovò il tempo di scrivere qualcosa e dedicarlo ai nipoti
affinchè conoscessero la sua storia.
Gli ultimi tempi gli ero sempre accanto ma lui diventava via via sempre più
rancoroso soprattutto verso gli uomini della sezione
accusandoli di indifferenza, di come nessuno avesse mai chiesto di lui,
le sue origini, il becco,
quel senso che gli faceva riconoscere luoghi in cui non era mai stato,
l’ eterno deja vu.
Egli stesso pensava ad una specie di eredità lasciata da quei poveri genitori mai conosciuti.
Non si rese mai conto che la storia del gabbiano
non era facile da credere per nessuno,
eppure anche i suoi figli, conservavano qualcosa di lui.
La litigiosità per esempio dei maschi
e quella tendenza a surriscaldare subito il tono del discorso
l’insofferenza per qualunque costrizione.
Cos’erano poi le figlie se non gabbianelle, sempre zitte sempre in riga
pronte ad abbassare la testa e mettersi da parte e vergognarsi per un nonnulla.
Poi un giorno sul finire dei ‘50 volò via, libero in un soffio di tramontana
che lo riportò a quegli scogli dove era nato,
tra gli amici cormorani a litigare per un’alice o un posto sul pontile a Nord
dove ogni giorno posso rincontrarlo felice di averlo per sempre vicino.
barcollando sugli scogli, urlava e piangeva inascoltato
tanto meno dai genitori persi in una guerra di quel secolo… forse.
Qualcuno però si prese cura di lui,
finchè, appresa l’arte di fiondarsi nel vento non raggiunse l’entroterra
di lecci e mandorli.
Conservò quella goffaggine di volatile anche quando nella sezione del PCI,
leggeva l’Unità ai pochi garofani senza Dio che sputavano a terra stami di toscano
bestemmiando se passava il prete e la processione del Corpus Domini.
Che vita era quella? tutta chiusa nella sicura di una ideologia che si diceva facesse tremare l’America
Ma dai! nessuno sapeva di quelle strane cose,
nessuno andava oltre parole magiche come Capitalismo, Rivoluzione, Sfruttamento, Braccianti…Addavenì…
Certo, di braccianti ce n’erano tanti e di fronte si aveva il Circolo Unione,
nido del vizio, dove nessuno di quei baffoni, allineati e con le falci
nel cuore avrebbe mai messo piede.
Raccontavano le delizie di giardino,
le bellissime mogli i gioielli in cui si concentrava il distillato della loro fronte
e cosa ne facessero del plusvalore
L’estate a mare, i viaggi in macchina a Parigi,
i profumi orientali la Cina
l’ Africa
ma dov’erano quei luoghi?
E poi le malattie strane, il diabete la gotta la sifilide.
Ricordo che quando andavo a cercarlo in quel covo di dannati,
mi colpiva un grande libro sempre a posto nello scaffale in noce:
la Sacra Famiglia.
Pensavo nel mio candore di bambino che lì dentro stessero scritte tutte le favole
che mi raccontava per tenermi la mano.
Si perché non era facile starmi dietro, anch’io avevo alette vispe e irrequiete,
magari ancora insicure ma bastanti per immaginarsi sopra un campo di grano
le onde, il faro e le colline di grotte e doline
di quell’ isola chiamata Murgia.
Io e il mio amico Tonio un giorno fingemmo di perderci
lui aveva il fiocco rosso della scuola sempre attaccato al collo
anche quando dovevamo passare per i campi
ed il sudore aumentava ad ogni passo.
E quasi affogavamo con quella fantasia d’inseguire lucertole grandi come alligatori.
Ma né io né lui avevamo mai visto il mare anche se mio nonno ce ne aveva parlato,
con quel significato di libertà che, come avrei scoperto più tardi,
distingue l’amore da qualsiasi altra cosa.
Cos’era il mare se non quella distesa al sole, quel bagnarsi di giallo
e scavare gallerie tra le spighe. Ci vivevano donnole e ramarri
ed era naturale giocare coi nostri compagni di primavera.
Mio nonno si accomodò sotto un leccio e aspettò che tornassimo fumando la pipa
sognando di quando era piombato su quella terra senza un soldo in tasca.
Quella volta però non vedendoci tornare si spaventò,
cercò di salire in alto con le sue ali rattrappite
e cadde rompendosi la schiena.
Da lontano vedemmo la scena, capimmo che era l’ora di tornare,
chiedemmo aiuto a un passante
ci mise un secolo per rinvenire ma non si riprese mai più.
Trovò il tempo di scrivere qualcosa e dedicarlo ai nipoti
affinchè conoscessero la sua storia.
Gli ultimi tempi gli ero sempre accanto ma lui diventava via via sempre più
rancoroso soprattutto verso gli uomini della sezione
accusandoli di indifferenza, di come nessuno avesse mai chiesto di lui,
le sue origini, il becco,
quel senso che gli faceva riconoscere luoghi in cui non era mai stato,
l’ eterno deja vu.
Egli stesso pensava ad una specie di eredità lasciata da quei poveri genitori mai conosciuti.
Non si rese mai conto che la storia del gabbiano
non era facile da credere per nessuno,
eppure anche i suoi figli, conservavano qualcosa di lui.
La litigiosità per esempio dei maschi
e quella tendenza a surriscaldare subito il tono del discorso
l’insofferenza per qualunque costrizione.
Cos’erano poi le figlie se non gabbianelle, sempre zitte sempre in riga
pronte ad abbassare la testa e mettersi da parte e vergognarsi per un nonnulla.
Poi un giorno sul finire dei ‘50 volò via, libero in un soffio di tramontana
che lo riportò a quegli scogli dove era nato,
tra gli amici cormorani a litigare per un’alice o un posto sul pontile a Nord
dove ogni giorno posso rincontrarlo felice di averlo per sempre vicino.
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