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Elogio del museo effimero e dunque di Bari,

Cos'è un manifesto?
Cos'è una città in fondo anche piccola come questa levantina
un posteggio senza fine, una serie di bar, il concerto di tazzine sui banconi
lattine di birra e Coca Cola.
Ogni giorno la cifra di questi oggetti si gonfia enormemente
i conti però nessuno li fa, soltanto poeti come Lorca si soffermano
sul numero di vitelli e polli ammazzati per Bari come New York
a che serve avere notizia delle bottiglie rotte
delle linee di telefono divelte e di quelle che ci passano addosso,
degli uccelli che migrano dal Largo Due Giugno
le colombe zoppe, i gatti con mezza coda,
le gazze che sostano sulle insegne SAICAF
tutti quelli che per un motivo o per un altro salgono sulle navette dei Park & Ride
che serve la notizia del predellino che non è sceso
del disabile rimasto a terra, il numero di vecchi
che attraversano le strisce bianco rosse col baricentro in petto
 
le cifre!
 
Tutti questi numeri non fanno risultato
ma fanno il caos, si muovono lungo linee di vortice
entrano nelle visceri di Bari accarezzano le anaconde del metano
intrecciano il destino delle linee veloci arrembanti
sempre più veloci, sempre più razionali nel controllo capillare
che si muovono scontrandosi col fiume che scorre lento
datato, nella retorica di blatte rosse e sorci senza nessun numero sul braccio
spettri che passano talvolta da un cartone Findus a un residuo
di manifesto lasciato morire sul marciapiede immemore del capolavoro
che è stato.
 
Eccola allora la mano dell'uomo...ma che scoperta è?
la città è mano dell'uomo
è sua l'opera dei manifesti e dunque arriviamo al dunque:
la città
museo infinito di arte moderna
il migliore del settore che conosca, quello che respira all'aria aperta
e si accontenta di firme anonime in calce alla cellulosa stesa
per catturare l'attenzione su un bel viso, un barattolo di nutella, un chiodo
tra le mani di un fringuello al Leroy Marlin e nel frattempo parla.
 
E' l'unico parlare che si sente, riconoscibile senza nessun dubbio,
rivolto ai nostri appetiti universali che mancano di giubbetti in seta
di borse H & M, di Mac Life se non si vuole chiamare con lo stesso verbo
la mutazione che ci siamo dati di discorrere coi telefonini
e non accorgersi di tre ninfe che avanzano in una strada metropolitana
elargendo sorrisi e grazie della stagione autunno inverno 2014.
 
Questo popolo, dico, vive nei corridoi di un museo
ma sputa per terra e butta cicche sull'asfalto e non legge un cazzo
di quello che l'autore anonimo ha scritto a caratteri cubitali
pensa ai fatti suoi, alla sua fretta, alle frette necessarie che esistono,
ai suoi innumerevoli gesti necessari di cui compone il puzzle della giornata
mentre i manifesti diventano sempre più grandi,
occupano fiancate intere di un palazzo, fanno di tutto per catturare l'attenzione
e legarlo all'industria che l'ha prodotto, al lavoro degli operai,
all'intelligenza concreta, alla loro sopravvivenza, al grado di benessere
e civiltà raggiunto
al mercato finanziario, alle fasce di Van Hallen
che avvolgono la terra di denaro.
 
I manifesti durano poco, hanno vita breve come la merce che li nutre
sono in questo senso opere d'arte che rivelano il nostro mondo,
la sua concretezza di bisogni infiniti che arrivano immediatamente alla mente
per rimanere solo un poco a conversare con i suoi handicap inconcreti,
il senso dell'esistenza, l'ansia di dio, gli scampoli d'amore,
scambiarsi contraddizioni, inconcludenze tipiche, illogicità temporali
metterle a confronto una merce, sbeffeggiarla nella curiosità, nell'olfatto,
offrirle il piacere di consumare e terminare.
 
Solo qualche giorno, poi a penzoloni sulla strada, obbedienti al loro destino
felici di aver accontentato uno come me che riesce a godere di questo effimero
museo che nulla espone se non è mortale.

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