Scritto da © Pimpra - Ven, 02/03/2012 - 07:04
Ho sempre pensato che il limite tra la vita e la morte fosse un sottilissimo filo di seta. Micrometrico limite, dall’alto carico di rottura ma, inesorabilmente debole, se teso nel punto di minor forza.
Si va via così, di punto in bianco, magari cantando la canzone preferita, una mattina qualunque di marzo, come è successo al Lucio nazionale.
Oppure in un qualunque altro momento della giornata. Senza un perchè.
La luce si spegne e il sipario viene giù di botto. Per quelli più fortunati. Altri devono aspettare che le carrucole srotolino le corde e lo facciano scendere e osservano, senza nulla poter fare, l’atto finale.
Ho uno strano rapporto con la morte. Accetto che sia un naturale passaggio di stato, il cambiamento inesorabile di una sfumatura, un colore nuovo dal quale non si torna indietro.
Non so se mi fa precisamente paura. A volte sì. Altre riesco a guardare il “grande salto” e so che, prima o poi, dovrò saltare anche io.
Cosa resta? e chi lo sa. Polvere. Pixel. Ricordi. Nulla.
La traccia del passaggio è solo una scommessa ed è un valore che diamo solo quando siamo vivi, come per mantenere un legame con questa dimensione.
Che stupidaggine.
Magari, la prossima volta che rinasco, sarò un semplice filo d’erba. E, forse, tutto sarà più facile. E fluido.
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