Scritto da © ferdinandocelinio - Mar, 05/02/2019 - 00:01
Trasforma ogni pezzo
della mia solitudine
in poesia.
Osserva di me le deformità,
i ricci interiori
e le mani. Soprattutto le mani,
questi mostri sensibili.
Arrecati nelle parti di me
dove s’approssima la morte.
C’è una gioia sommersa laggiù,
la quieta arrendevolezza
del non starsene a pensare.
Non stare a cincischiare troppo
nei miei pomeriggi uggiosi,
nelle mie oziose nevicate domenicali,
ma gioca con me,
battimi, umiliami se necessario,
ne uscirò più forte.
Il cielo è una giostra d’umori
questa sera,
una canzone pigra
che racconta storie amorose
e rigagnoli di vizi e di virtù
e io sono così stancamente vinto.
Tu ricordati di me.
*
Sono arrivato per svelare
la macchia purpurea
che sta dietro gli occhi di una puttana,
le cicatrici dei camionisti
e i loro segni di sigaretta
nel medio della mano destra.
Non m’interesso dei grandi uomini della Storia,
Gesù Cristo aveva custodi illustri
nel suo lacrimare nella fuga
sopra gli acciottolati del mondo.
Io voglio conoscere la pietra pomice
con cui mio padre levigava i suoi calli
prima di morire,
voglio sapere tutto di Vacchi,
la sua vanità, il suo disinteresse,
per orbitare nel vuoto
e circoscriverlo, sedimentarlo.
Vedi papà, c’è qualcosa di Apostolico
nella mancanza,
come un riconsiderare le significanze.
Io quel vuoto non lo lascio più.
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