Scritto da © ferdigiordano - Mar, 04/09/2012 - 16:39
Marciapiede che sento treno: vibra, sferraglia
se ne scende all’arrivo. Arrivo come pendolare
tra due stazionamenti: ciao ingresso, cos’altro si muove?
Capita al buio una sagoma, una qualche sopravvivenza.
Non questa strada solita, solida, soli tra
asfalto e abitudine al nero. Una linea
evade pur che sia occhio: circospetto, furtivo
sui visi: ricerca infruttuosa del mezzo gaudio.
A quest’ora un sorriso può premiare la rincorsa, ma
chi è giunto all’alba cieco vede ieri come si ripete.
E non c’è luna a dirimere visioni, o piena o a frammenti.
A che serve la luna, palazzo, se la verticalità finisce
nel cemento? Che te ne fai del satellite nel quartiere
se solo rischiara mandrie di auto
che divorano il buio con fari dissidenti?
La verità è in quel vocio dall’ombra
che spalanca il portone e muove
dalle rampe vuote quote nuove
di una notte a squarciagola, come primo
emendamento.
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