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Siamo soli sul set per una parte precisa

 
                        Questa scena avviene
tra i cantieri del porto. Il copione
non cita altre comparse, alla lettera elle
                        la luna lunera
ci voleva, non il silenzio, nemmeno la tenebra.
                        Sono tremendi
gli agguati in assoluta quiete. Il rumore
convince di più,
                                               racconta lo spazio
pieno di cianfrusaglie familiari e ciarliere.
                                  
                                   Questa terra
è Stanislavskij in persona: modellata dal genio,
non finge, interpreta il tempo: pendola
al sole.
                                   Il regista vorrebbe
nella trama uccelli di passo. Questa corsa è dispendiosa.

Abbiate pazienza, siamo esiti di un volo,
                                   nati per migrazione.
 
                                   Nella trama
un solo porto fa partire cinque oceani
e cinque continenti attendono sul molo.
Mi puoi trovare in questa stanza,
mi riconosci dal mondo intorno.
 
Mi è stata data una parte, non l’intero copione.
            Ho dichiarato
che non gli appartengo, eppure lo venero.
Per tre volte l’ho detto, per tre ponti
rimbalza il tradimento, finché coglie
i figuri dell’ormeggio; un traghetto
suonava la sirena, per tre volte, sul mare
il faro ha baciato l’onda.
 
Così la sua guancia àncora la bocca,
sulla sua guancia finisce la risacca,
            la ferita sulla sabbia è orrenda.
Niente mi collega al sinedrio del golfo,
tranne il profilo della costa quando alzo il mento.
A prima vista è normale ignorarlo,
la città è piccola, stracolma di costati aperti.
 
Il direttore della fotografia dice
che è troppo buio perchè la voce si diffonda
ed è davvero tardi per tirare al centro
un sospiro di sollievo.
 
Suggerisco che la camera stringa
sul bimbo che siede sulla bitta. L’occhio
di bue illumina in un angolo la sua barca di latta.
L’etichetta a bandiera sventola una nazione
di pomodori o di olio. Arrivano bastimenti
carichi carichi di ti.
                                   Non è il momento
di scivolare nel passato: avevo solo un gioco
e solo quell’acqua per farlo.
            Non riesco a sottrarmi
e ricordo gli errori di squola: annusavo i quaderni
per non provare vergogna. Immancabilmente
il fritto nascondeva gli odori nelle tasche.
 
Per giorni ho pensato alla corazza
dei granchi, alle chele aggressive;
            mi liberavo
delle fughe con il passo di lato, spalle al muro
circondavo le crepe.
            La parete non cura
il panico nello stomaco, copre largamente
la visuale, ma la testa, diomio!, la testa è indifesa.
                                   L’agguato perfetto
non dà riferimenti, avverti il timore
ma lo collochi ovunque, ovunque, in tutto.
Entri e mille occhi ti puntano, irridenti,
anche solo i tuoi, anche solo mobili
come grandi cassetti.
 
            Il bambino è il ritratto di suo padre.
Suo padre è raffigurato in divisa da marinaio.
                                   Si capisce
la parentela da come lui mostra il profilo
            della costa, alzando il mento.
A lungo i nervi del padre si sono legati ai moli,
a lungo il figlio li ha saputi sciogliere.
 
            L’inquadratura stringe sul fanciullo:
                                   è lui la trama
non il padre la barca la nazione: nei titoli di coda
            il destino appare
come ogni riferimento a persone o cose
puramente una interpretazione.
 
 

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