Scritto da © ferdigiordano - Gio, 27/09/2012 - 16:01
Stese ordinatamente sugli omeri
del tavolo sottratto
al fusto di un frassino esausto,
evoluto da guardiano ceduo a piano d’appoggio,
le prime carte si stesero fuori dalla colonna breve
di consorelle. A piedi nudi, supine, erano sconce
pagine inespressive nel libro del destino
ma non stavano mai come
si deve, per ammissione del mazziere.
Prese e non prese, si accodavano
mano a mano di schiena: intruse
in sala d’aspetto, malati in attesa di ricette.
Ma la carta da gioco è muta
benchè la mano si dichiari a tono
nella voce che le annuncia. L’oracolo
è irridente, la fortuna stramba:
nessun naviglio affondato torna al molo col vento in poppa.
Il molo è quanto di più vicino alla terra
può dare l’occhio in tempesta.
Più tardi, mentre tu muovevi le coperte
le carte concessero non più di tanto
un solitario a tendere.
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