Muto per sempre. Cambio con frequenza
muscoli sonori, tessuto vibratile, branchie
a soffioni per il congegno che attenua il rumore.
Ho detto del nervo scoperto, quel lungo
sottile filamento tra amo e mento, trafittura
del corriere alla prima consegna del bacio.
Ho pure detto che un guscio di noce
è per l'albero un vanto se attraversa l’oceano:
una concomitanza di enfasi e alisei. Ricordo
che l’alto cadde nel tranello della ciurma e
andò perso; il basso, quello di noi sollevato dal fondo,
per gratitudine, mise squame di cemento e ne venne
a capo. Chi conosce l’uomo sa che la terra finisce ai suoi piedi,
sventrata dall’orma, sanguinante nella parte di madre perduta;
sottomarina la sua andatura perfetta.
Ho visto la rete che ha preso una parte di me.
Ho toccato il fianco da cui è uscita la spina,
e il seme di questo sargasso; ho evitato le lenze
che tentano astuzie di esche sacramentali,
ho dormito in un letto di verbi agitato, e agitato
le residenze seducenti in mare aperto, quindi so
che oro e incenso e mirra non verranno domani:
per coercizione delle regole, toccano in un solo giorno
in agenda ai segnati dalla grazia dei pesci, moltiplicati e
secreti dall’alto, quello perso.
Quando verrà l’onda di risacca che spiaggia le conchiglie,
valve mai desiderate o contese, sarà consueto il giudizio
del Tempo: “Esercizio eseguito in modo insufficiente”.
Quanta meraviglia muta è concessa ai pesci.
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