Sai della neve gialla che prende la ginestra.
Sai anche della sua avvenenza leggera. Mi chiedi
se c’è ancora quella bava sul fronte della costa.
Conosci la ruga del leone per quel guado immarcabile
della più alta coscienza che aggrotta... Mormoro
che non sono un leone, mormoro perchè
la giurisprudenza sui cigli impedisce azioni
di sconfinamento nell’urlo. Mormoro al savio
e mormoro al folle. Noi siamo in me, fuori
e dentro la pelle: precipitare, racconti, è facile,
oltre limite è facile gridare cadendo, ma io
sono basso, per l’andazzo dei messaggi cromosomici,
Gigi, basso che le scarpe mi bastano un mese
per la quantità di passi tra le epistasi congenite
e quelle che non mi spettano. E, vedi, dovunque
poggi i gomiti sul parapetto della sera
non vedo che attori a scena aperta
che recitano la parte di mentore.
Gigi
che parli nella carne con la stessa cadenza
di perdoni in colonna, processione di lucine votive
alla bisogna, dammi corda per ora.
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