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La volta dell’acqua

 
 
Il pescatore riconosce la sua orma già sbarcata
nel passato della sabbia. È là che lascia
l’alba l’ultimo segno di fatica. Il sole logora
ogni itinerario marino, coglie bicipiti e pelurie,
infine secca la tessitura dei dorsi inarcati,
soddisfatto delle labbra spaccate per certi
riflessi dai cristalli di sale. Inoltre il sudore
diventa amniotico e il sonno viene alla luce
mentre la tenebra si acquatta ad est del faro.
Non sembra sorpreso che la spinta del piede
sia pari al peso del corpo privo di pensieri.
E la stanchezza conta precedenti ordinali:
il cordame, gli ami disinnescati, la nassa:
già liberati dallo stupore delle bocche strappate.
Addirittura  il piede, sull’appoggio che incava,
ferma il sale, superando in scrittura la leggerezza
della risacca svogliata. Che meraviglia!
Scoprendosi beneamato, quel litorale lasciava grani
ai nodi delle maglie come innumerevoli rosari.
Non avrebbe saputo dire se ritornato
significa annotarsi sul diario della spiaggia
o è il miglior domani così pieno di oggi,
vecchio per lunghi tratti; poi il passo va inventato.
In qualche modo ha effetto sulla riva la velocità
di darsela a gambe levate da innamorati. Per questo
si alza e segna l’ora lunare l’enorme volta dell’acqua.
 
 

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