Gira una vocalità dura, equivalente
del primo dispaccio di guerra, per buona pace
delle riserve di cibo. Va diffondendosi
l’idea che il mormorio indistinto sia di stomaco,
mentre l’urlo: Eccolo! Prendiamolo... Finisca
all’inferno!, indichi un desiderio di mordere
sempre, addentare comunque.Vorrei
testimoniare quanto vuota è questa credenza.
Scrive un vinaio che il nemico si batte
con l’astuzia del bicchiere; e che sia acqua
poco importa, tutt’al più dura meno, ciò
che conta è la bocca liberata dalla voce del ventre.
Voce che rimbalza nel piatto, forza maggiore
di qualsiasi copricapo; a tavola ogni posto è
un trono con gravi inganni, quindi, chi per primo
si siede, può saggiare il boccone amaro. Viene
in mente l’agnello mandato alle nuvole
come suggello.
Fratelli, sapete
quanto le posate siano l’indirizzo della mensa
esposti come siamo alla ridda di corpi esausti.
Si tratterebbe, quindi, di colpire una o due porte
e aprire una breccia nell’altra dispensa. Non mirate
ai denti. Pensate alla manna e a come bucare il cielo
per farla cadere. A qualcuno viene in mente il lombo,
la spalla o la coscia? Rimanete distesi: cos’altro
serve a nutrire i vermi?, ma miravo alla testa.
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