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Ho nuotato nel ventre del mondo

 
 
Adesso ti mostro un souvenir dell'infanzia, quando da fonte
a foce nuotavo nel ventre del mondo
e non c'erano ossa – no non c'erano ossa –
ma andavamo a farle dello stesso colore.
 
Accadde proprio lì la prima ferita.
 
Nel ventre del mondo superavo l'oceano
col muscolo nelle onde e una marea di gambe
sul continente vuoto sconfinava in mare.
Il mare era padre dell’uomo più giovane
la nazione una casa che si allargava coi piedi.
Non c'era fretta di fare in fretta ma si andava di corsa
perché la tenebra mette paura se nel volume
degli occhi del mondo
l’oscuro corteo di richiami prende fuoco.
 
La prima ferita è l’abbandono
del ventre del mondo. E' quel ventre che secca
riempito di sole. Ma se mai fossi
partito mai saresti arrivato.
Guarda le cicatrici tra le scapole strette
come il sentiero pietroso del Dancali
e queste altre di un leviatano di sale
che inghiotte le braccia del mondo.
E sempre si tratta di ali sperticate e stese
sulla schiena del mondo
incapaci di tenere il volo figurati noi!
Perciò tra i migranti caduti
si abbandonano le stelle con l’acqua alla gola
i polmoni calati fino in fondo
il respiro sottratto alla terra
solo trattenuto finché la pressione
fa esplodere il timpano in cui custodiscono
le tue parole. Le parole sono i primi vermi
della terra promessa che si decompone.
 
Ma non chiedermi chi o cosa me l’ha fatto fare
ti risponderei dov'eri? se solo ora mi mostri
come emerge il cuore del mondo
dall’abisso della tua bocca.
 
 
 

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