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Forse l’Esseno

 
Ma è vero che misura millemila cubiti  
la più piccola parte del suo unico sentimento?
Lo accolsero con gratitudine i tre marabuti
venuti dal mare di sale lungo il wadi d'oriente,
condotto nudo fino al monastero come una
preziosità angelica. Non alto, alzò ben presto
il mento, che già c’era, e poiché già c’era,
a nessuno parve agnello. Venne sobrio, venne in carne.
Dissero che sarebbe stato il puledro miracoloso,
il baio delle vene.
 
            E la sua criniera diurna
– dissero pure – sarà il ventaglio del corpo celeste.
Conoscerà l’intimo dell’algebra forense. Taciterà
il pubblico teso con la loquacità dei tendini. Si muoverà
in tutti i sensi, ma più ancora chiederà alle sentinelle
della Terra: “Che avete da guardare? Non avete mai
visto una frontiera?” Diffonderà
la narrazione dei semi interrati, i fuoriusciti
dall’argilla pregheranno per entrare nel fuoco
del suo sguardo. Sicché davvero il santo
è fornace ed è uomo con più patimenti. Più
della sabbia i mondi che lo attendono. Sarebbe
un’unica scena più e più volte ripresa
perchè irripetibile dal vero: soprattutto,
il mistero degli squali senza remore.
   
Ma parliamo di lei: l’aria stanca – in cammino
dall’inizio di tutto – si adagia sulla veste di tela,
diventa riconoscibile perchè la trasforma in seta.
È nella roccia dell’utero, grembo e grotta
insieme, tra il succo di melograno nelle giare
e le giare in cui matura il nettare acidulo,
là dove il vinaio assicura la beneficenza
del tetto, colmo delle stelle, da quel punto
sfibrato inizia il tumulto che mi ha preso
e per secoli ho dovuto sostituire con le mie
la sua assoluta mancanza di pretese.
 
Il vino gorgoglia, il succo freme e geme.
Simon smette la pesca: una necessità preme
perchè il corridore alieno abbia seguito;
la luce, dall’altra parte del globo, non mancherà
la stella, una stella, a che ora la stella?
 

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