Scritto da © ferdigiordano - Ven, 21/09/2012 - 17:36
Il franco saltatore è uccel di bisca. Gioca
al tavolo acrobazie con i propri numeri. Si tratta
evidentemente di barare sul panico,
chiamarlo concentrazione, comprimere
la solitudine in un minerale
friabile, smolecolare l’ora
in momenti confessionali,
attenuare l’attesa che ammette l’indice
fra le voci
come rinvenimento
come un giorno compreso.
Contributo interamente avversato: la parabola;
il volteggio dalla terra alla terra
disegna
due piedi per l’aria: la similitudine
degrada a vaticinio un’ombra conforme e mobile.
Il saltimbanco pensa: peccato! mi piacerebbe sapere se
la dignità conservativa nell’ombra
sia una stasi diramata dalle pareti, una ragnatela e un ragno
che cerca ristoro.
Ma lì, da muro a muro, è solo un viandante
sul filo in tensione.
Si dica del ragno ciò che è proprio
di Charles: “Pouvons-nous étouffer le vieux, le long Remords”?
Il Rimorso dell’ombra, qui e da lui: impossibile vedere
lontano, nell’avamposto ieratico, con la stessa perizia
del suo cannocchiale; serve l’immaginato
locale, l’intoppo che accende la pupilla,
corsara per riflesso di lente - lente albe verticali. E risvegli
vuoti, che non hanno luogo, quindi la notte invasa,
stagna, senza sapere dove.
Ci sono nelle notti ampie più vie di fuga
che sollecitudine a percorrerle.
Il saltimbanco azzarda: se un suono
significa presenza, il silenzio comunque non appartiene
al vuoto; nell’autunno che viene
un esempio dalle foglie – ricordi les feuilles mortes?
La memoria è a rami.
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