Scritto da © ferdigiordano - Lun, 24/09/2012 - 12:51
Allora io vedendola da una finestra come un foro distante
trascorrevo lucidamente la luna
mentre altri si alzavano dai loro crateri
per parlarsi fuori
lontani per suggestione, in effetti.
Tutta una notte così! Anzi più di una notte: inseguivo
nel giorno lo stesso minerale friabile, decaduto
e brillante: un viso a momenti, a momenti inviso.
Quanto mi appariva esaltato
era del saltimbanco, sublime follia di forza
fragile, puma di cristallo. E quando invece serio, raccolto,
malinconico, proponeva il dialogo dove
la luce frequenta le asole e ne esce a fila come
monacielli in pletora da astinenze
- è il capofila una questua di carezze, e diffidente
infossa il mento fino al ciondolo Tau -
per visitare
donne proibite, fumi di branda
o il congedo dalle vesti: va attraverso la città sulla fronte
di quegli uomini che sospirano e gemono. (*)
Perciò la speranza non crolla, s'incunea anche a dirla coperta da vesti.
Le vesti sono divise, spartiti. Chi ha stoffa è
in grado di sopravvivere ai contenuti conviventi. Continenti
o isole nel primo stile degli oceani: vapore.
Una sorta di praticantato ci fa sorgere a lungo, diceva
l’acrobata del salto,
per sanguinare senza ferirsi:
un malessere angelicato,
una sofferta quota di venature, non una piega.
Viene da chiedersi quanti cavalli di legno tu abbia
utilizzato e animato
prima del naufragio. C’è un ulisse nel tuo petto
che mi sta alle costole come dentro.
(*) AT - Ezechiele (9,4) /libera mente es tratto (nda)
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