Invoco per te la furbizia dei satelliti
– quei congegni altolocati meravigliosi
funamboli sul filo di meridiani e paralleli –
strani occhi di lamiera invisibili ad occhio nudo.
Ma alla via
non c’è altro modo per raggiungerli
che una strada corta e in discesa
fino all’edicola della Caserma.
Una consuetudine
mattiniera sbirciare le sentinelle come ingresso
al territorio di guerra; nessuna paura:
se ancora non sono sveglie, se di là dall’alto muro
non si animano i proiettili e il chivalà non agita
le mimetiche,
oh davvero,
quel muro immacolato libera appena dal terrore.
Già, perchè i timori nascono dalle recinzioni
e, come la notte, spingono nell’incubo i futuri.
Certo, i satelliti sono guardinghi, vedette di stagno
e leghe intollerabili al vuoto che li annienta.
Arrivano fino al panettiere seguendo le formiche
che da lassù passano come uomini. Ah, che astuti
gli ingegneri che guardano le briciole ma non vedono
Il pane!
Questo meccanismo, in seguito,
prevede che chiunque chieda di te riceva risposta:
è qui passerà non passa, dov’è finita la discesa?
Salutatevi in pace finché le garitte sono vuote, ma
altrove il cielo diventa trincea, una sorta di Maginot
alla quale o un dio orribile o una cinta di automi
destina il controllo dell’essere terrestre; e infine:
prendere in giro le sentinelle lassù non è salutare
che vuoti.
Così i chivalà nemmeno hanno fretta di raggiungerti,
perché più voci non richiamano più attenzione,
più ali non raggiungono la porta della torre celeste,
più parole non aumentano il magnetismo delle galassie.
La quantità
è la vera astuzia dell’universo, la sua strategia
è mantenere le distanze, mentre la velocità con cui passa
la vita è l’inganno delle stelle spiegato in un lampo:
segui l’esempio.
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