Scritto da © Fausto Raso - Gio, 21/01/2016 - 18:39
I nostri fedeli lettori ci perdoneranno se riproponiamo, ancora una volta, un nostro modesto intervento su alcune "questioncelle" orto-sintattico-grammaticali. Insistiamo perché abbiamo notato, con un pizzico di rammarico, che le nostre noterelle non hanno sortito l'effetto sperato. L'«anarchia linguistica» continua...
Vi sono persone, soprattutto tra le così dette grandi firme della carta stampata, che non ritengono necessario l’approfondimento (o lo studio) della grammatica della lingua italiana in quanto sono convinte di conoscerla bene per il semplice motivo che parlano e scrivono la lingua madre – come suol dirsi – per pratica. Esse fanno loro il detto popolare secondo il quale la pratica uccide la grammatica; al più, di fronte a perplessità ortografiche, ricorrono all’aiuto dell’orecchio, preziosissimo per comporre allegri motivetti con la chitarra o il pianoforte.
A costoro riteniamo utile ricordare quanto scrisse in proposito il poeta Giuseppe Giusti: «L’avere la lingua familiare sulle labbra non basta: senza accompagnare, senza rettificarne l’uso con lo studio e con la ragione è come uno strumento che si è trovato in casa e che non si sa maneggiare». Mai parole furono più sante.
Chi sa quante volte, infatti, a ognuno di noi sarà capitato, nel buttar giù le classiche quattro righe a un amico, di essere assalito da dubbi sull’esatta grafia delle parole e sulla loro giusta collocazione nel contesto della frase o del periodo. Vogliamo fare un esempio? Sognamo o sogniamo? Con o senza la i? Beneficerò o beneficierò? In casi del genere non c’è musica sacra o profana che faccia alla bisogna: l’orecchio non ci viene minimamente in aiuto. Allora, immobili, con la penna in mano (ora davanti al computiere*), presi dall’amletico dubbio malediciamo il giorno in cui buttammo (con presunzione) alle ortiche il vecchio e prezioso libro di grammatica…
Vediamo, quindi, di sciogliere, nell’ordine, questi dubbi; prima, però, a proposito di orecchio, sarà bene ricordare che ha due plurali, uno maschile e uno femminile e non sono interscambiabili non si adoperano, cioè, indifferentemente. Si usa il maschile per indicare l’organo dell’udito (mi fanno male gli orecchi); si adopera il femminile, invece, in senso figurato (le orecchie del libro).
Sognamo o sogniamo, dunque? Sogniamo (con la i), anche se, a suo tempo, imparammo che tra il digramma (unione di due lettere formanti un unico suono) gn e le vocali a, e, o, u non si inserisce la i: quindi scriveremo sogno, regno, ognuno, eccetera. La i di sogniamo è obbligatoria e si giustifica con il fatto che è parte integrante della desinenza '-iamo' della prima persona plurale del presente indicativo, del presente congiuntivo e dell’imperativo.
Tutti i verbi in '-gnare', dunque, ma anche quelli in '-gnere' e in '-gnire' (disegnare, insegnare, spegnere, grugnire ecc.) conservano la i ogni qualvolta detta vocale faccia parte della desinenza.
Beneficerò, senza la i. I verbi in '-ciare' (come quelli in '-giare') perdono la i che pure è parte integrante del tema (o radice) davanti alle desinenze che cominciano con le vocali e o i. In questi casi, infatti, la i non è più necessaria per mantenere il suono palatale alla consonante c (o g). Scriveremo, dunque, beneficeremo, mangeremo, comincerei. Solita eccezione, effigiare: conserva la i in tutta la sua coniugazione.
Qualche osservazione ancora, visto che trattiamo un tema prettamente grammaticale, sui sostantivi composti con il prefisso 'con-' (assieme). Contrariamente a quanto ci hanno abituato le grandi firme (e ci piacerebbe sapere chi stabilisce la grandezza) che si piccano di fare la lingua, il suddetto prefisso si unisce direttamente al nome.
Occorre solo ricordare che la n cade davanti a parole che cominciano con vocale: coabitazione (non co-abitazione come, dicevamo, sono solite scrivere le grandi firme del giornalismo), mentre si trasforma in m davanti ai sostantivi che cominciano con le consonanti labiali p e b: combelligerante, comprimario; si assimila, invece, davanti a m, l, r (l’assimilazione è un particolare processo linguistico per cui nell’incontro di due consonanti la prima diventa uguale alla seconda) e avremo, quindi, collaboratore, corresponsabile, commilitone e via dicendo.
A proposito, alcuni vocabolari ammettono la voce coproduzione e il suo composto (coproduttore). Non c’è alcun motivo che giustifichi la caduta della n del prefisso 'con-'. La voce corretta è e resta comproduzione (la 'n' del prefisso 'con', secondo la regola, si è "trasformata" in 'm').
Lo stesso discorso per quanto riguarda comprotagonista, voce "più corretta" (ammesso che una parola possa essere "piú corretta"; o è corretta o non lo è, non può essere corretta "a metà") di coprotagonista. Nessuno si sogna di dire coprimario in luogo di comprimario. Perché, dunque, quell’orribile coprotagonista?
Per concludere: in lingua italiana il prefisso 'co-' non esiste. Anche se, purtroppo...
Vi sono persone, soprattutto tra le così dette grandi firme della carta stampata, che non ritengono necessario l’approfondimento (o lo studio) della grammatica della lingua italiana in quanto sono convinte di conoscerla bene per il semplice motivo che parlano e scrivono la lingua madre – come suol dirsi – per pratica. Esse fanno loro il detto popolare secondo il quale la pratica uccide la grammatica; al più, di fronte a perplessità ortografiche, ricorrono all’aiuto dell’orecchio, preziosissimo per comporre allegri motivetti con la chitarra o il pianoforte.
A costoro riteniamo utile ricordare quanto scrisse in proposito il poeta Giuseppe Giusti: «L’avere la lingua familiare sulle labbra non basta: senza accompagnare, senza rettificarne l’uso con lo studio e con la ragione è come uno strumento che si è trovato in casa e che non si sa maneggiare». Mai parole furono più sante.
Chi sa quante volte, infatti, a ognuno di noi sarà capitato, nel buttar giù le classiche quattro righe a un amico, di essere assalito da dubbi sull’esatta grafia delle parole e sulla loro giusta collocazione nel contesto della frase o del periodo. Vogliamo fare un esempio? Sognamo o sogniamo? Con o senza la i? Beneficerò o beneficierò? In casi del genere non c’è musica sacra o profana che faccia alla bisogna: l’orecchio non ci viene minimamente in aiuto. Allora, immobili, con la penna in mano (ora davanti al computiere*), presi dall’amletico dubbio malediciamo il giorno in cui buttammo (con presunzione) alle ortiche il vecchio e prezioso libro di grammatica…
Vediamo, quindi, di sciogliere, nell’ordine, questi dubbi; prima, però, a proposito di orecchio, sarà bene ricordare che ha due plurali, uno maschile e uno femminile e non sono interscambiabili non si adoperano, cioè, indifferentemente. Si usa il maschile per indicare l’organo dell’udito (mi fanno male gli orecchi); si adopera il femminile, invece, in senso figurato (le orecchie del libro).
Sognamo o sogniamo, dunque? Sogniamo (con la i), anche se, a suo tempo, imparammo che tra il digramma (unione di due lettere formanti un unico suono) gn e le vocali a, e, o, u non si inserisce la i: quindi scriveremo sogno, regno, ognuno, eccetera. La i di sogniamo è obbligatoria e si giustifica con il fatto che è parte integrante della desinenza '-iamo' della prima persona plurale del presente indicativo, del presente congiuntivo e dell’imperativo.
Tutti i verbi in '-gnare', dunque, ma anche quelli in '-gnere' e in '-gnire' (disegnare, insegnare, spegnere, grugnire ecc.) conservano la i ogni qualvolta detta vocale faccia parte della desinenza.
Beneficerò, senza la i. I verbi in '-ciare' (come quelli in '-giare') perdono la i che pure è parte integrante del tema (o radice) davanti alle desinenze che cominciano con le vocali e o i. In questi casi, infatti, la i non è più necessaria per mantenere il suono palatale alla consonante c (o g). Scriveremo, dunque, beneficeremo, mangeremo, comincerei. Solita eccezione, effigiare: conserva la i in tutta la sua coniugazione.
Qualche osservazione ancora, visto che trattiamo un tema prettamente grammaticale, sui sostantivi composti con il prefisso 'con-' (assieme). Contrariamente a quanto ci hanno abituato le grandi firme (e ci piacerebbe sapere chi stabilisce la grandezza) che si piccano di fare la lingua, il suddetto prefisso si unisce direttamente al nome.
Occorre solo ricordare che la n cade davanti a parole che cominciano con vocale: coabitazione (non co-abitazione come, dicevamo, sono solite scrivere le grandi firme del giornalismo), mentre si trasforma in m davanti ai sostantivi che cominciano con le consonanti labiali p e b: combelligerante, comprimario; si assimila, invece, davanti a m, l, r (l’assimilazione è un particolare processo linguistico per cui nell’incontro di due consonanti la prima diventa uguale alla seconda) e avremo, quindi, collaboratore, corresponsabile, commilitone e via dicendo.
A proposito, alcuni vocabolari ammettono la voce coproduzione e il suo composto (coproduttore). Non c’è alcun motivo che giustifichi la caduta della n del prefisso 'con-'. La voce corretta è e resta comproduzione (la 'n' del prefisso 'con', secondo la regola, si è "trasformata" in 'm').
Lo stesso discorso per quanto riguarda comprotagonista, voce "più corretta" (ammesso che una parola possa essere "piú corretta"; o è corretta o non lo è, non può essere corretta "a metà") di coprotagonista. Nessuno si sogna di dire coprimario in luogo di comprimario. Perché, dunque, quell’orribile coprotagonista?
Per concludere: in lingua italiana il prefisso 'co-' non esiste. Anche se, purtroppo...
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