La giacca | Lingua italiana | Fausto Raso | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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La giacca

La storia delle parole nasconde sempre delle sorprese, a volte impensabili. Chi avrebbe immaginato, infatti, che la giacca, vale a dire quell’indumento, maschile e femminile, che copre la parte superiore del corpo e divenuto “simbolo” di una forma di rispetto per l’ambiente in cui ci si trova – ancora oggi togliersi la giacca a tavola o per la strada, nonostante la permissività dei costumi, è considerato da taluni segno di scarsa educazione – ha origini tutt’altro che… raffinate. Il nome, intanto, è il francese “jaque” derivato di Jacques, Giacomo, che con il trascorrere del tempo ha assunto il significato di “contadino”. Questi uomini di campagna, un tempo considerati rozzi, ci hanno dato, invece, una lezione di… civiltà. Ma per una migliore comprensione dell’ “evoluzione semantica” della giacca, ci affidiamo a ciò che dicono in proposito Erminio Bellini e Andrea Di Stefano.

“Nelle sue ‘Croniques’ il francese Jean Froissart narra la storia della prima ‘jacqueries’ (sollevazione, rivolta dei contadini, ndr) scoppiata in Francia durante la guerra dei Cent’anni: una rivolta di contadini contro i proprietari di terre che li succhiavano fino all’osso e contro gli uomini d’arme che scorrazzavano per le campagne francesi dandosi al saccheggio. Questa fu la più clamorosa di una serie di rivolte sconsiderate e cruente degli eterni ‘umiliati e offesi’ della terra, coloro che scherzosamente venivano chiamati in Francia Jacques Bonhomme, sempre piegati sotto il tallone dei potenti, pronti a esplodere nel momento più caotico e inconsulto, qualora trovassero un capo; rivolte tutte destinate a spegnersi nel sangue e negli orrori così come nel sangue erano prosperate. Jacques (Giacomo) dunque era un nome comunissimo nelle campagne francesi, diffuso del resto ancora oggi in una terra che tiene alle proprie tradizioni e che non si è lasciata americanizzare come invece spesso è successo in Italia. Il nome Jacques fioriva fra i contadini, ma anche in genere tra i fanti, uomini della bassa forza, a servizio dei grandi signori feudali. Questi soldati (ma anche i contadini, ndr) solevano portare una sorta di maglia: il ‘giaco’ il cui nome risale all’arabo ‘shakk’. In Francia però si attuò una fusione fra la parola originaria e il nome Jacques; la maglia di ferro portata dai fanti e indossata anche dalla gran parte dei partecipanti alla prima rivolta si disse ‘jaque’: da cui venne ‘jaquette’, la nostra giacca, la cui forma e il cui uso subirono successive trasformazioni nel tempo”.

C’è da dire, per la cronaca, che in Italia il diminutivo giacchetta prevalse su giacca, che entrò in uso nell’Ottocento, tanto che – se non cadiamo in errore – il vocabolario del Tommaseo non registra la voce, al contrario del Boerio, nel 1829, che recita “giacheta”, ‘giacchetta’. Voce ora fattasi comune all’Italia, dal francese ‘jaquette’.

E visto che siamo in tema di abbigliamento, due parole due, sulla “cravatta”, cioè su un complemento del vestiario maschile che sembrava scomparso con l’avvento dell’americanizzazione posbellica, ma tornato prepotentemente di moda anche tra i giovanissimi. La cravatta, dunque, ha mutuato il nome dai Croati; in origine, infatti, si chiamava “croata”. Il termine, però, è giunto a noi attraverso il francese “cravate” in quanto i Francesi presero questo capo d’abbigliamento quando Luigi XIV, il Re Sole, istituì un reggimento di cavalleria leggera formata di Croati. Questi soldati mercenari, noti anche in Italia – terra di conquista di tutti i popoli – avevano una divisa costituita di un dòlman rosso con alamari, un peloso colbacco e, caratteristica originale, una vistosissima striscia di lino bianco annodata attorno al collo. Questa sciccheria piacque moltissimo al sovrano francese tanto che volle che tutte le sue truppe fossero dotate di “croate”, divenuto in seguito, per corruzione popolare, “cravate”, donde la nostra ‘cravatta’. Oggi le persone che credono di parlar bene dicono ancora “corvatta”, a noi sembra puro snobismo. Da molto tempo, ormai, il termine è stato relegato nella “soffitta della lingua”. I gusti, però, sono gusti…

 
Fausto Raso

 

 
 
 
 
 

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