Scritto da © Fausto Raso - Dom, 24/09/2017 - 23:15
Il piú presto possibile o al piú presto possibile? Questo dilemma tormenta da tempo alcuni nostri amici, da quando hanno notato che la televisione pubblica e alcune emittenti private non concordano circa la grafia contenuta in un videogramma che annuncia la ripresa delle trasmissioni. La prima scrive: “Le trasmissioni riprenderanno ‘il’ piú presto possibile”; le altre, invece, “Le trasmissioni riprenderanno ‘al’ piú presto possibile”. A questo punto, ci domandava e si domandava un amico: “Dando per corretta la prima versione, dovrò dire che il lavoro riprenderà ‘l’alba?”. Sciogliamo subito il dubbio: entrambe le versioni sono corrette. E facciamo anche la “prova del nove”: si può dire “le trasmissioni riprenderanno ‘il’ piú presto possibile” perché si può dire “le trasmissioni riprenderanno ‘il’ 20 novembre”; si può dire, altresí, “le trasmissioni riprenderanno ‘al’ piú presto...” perché non è errato dire “le trasmissioni riprenderanno ‘alle’ 16.30”. Non esiste, dunque, una norma grammaticale, è solo questione di gusto. L’avverbio di tempo “presto” nella forma del superlativo relativo diventa una locuzione avverbiale che può essere introdotta tanto dall’articolo “il” quanto dalla preposizione articolata “al”. Personalmente preferiamo “al” perché il complemento di tempo determinato è introdotto, generalmente, dalle preposizioni “a”, “in”, “di”, “su”, “circa”: verrò da te “alle” 17.00; le rose sbocciano “a” maggio; sarà qui “in” cinque minuti. “Al piú presto possibile” rispecchia fedelmente, per tanto, il predetto complemento di tempo determinato che... “determina”, appunto, sia pure approssimativamente, il tempo o il momento in cui l’azione espressa dal predicato si è svolta o si svolgerà. Si riconosce facilmente perché risponde alle domande sottintese “quando?”, “in che momento?” ed è rappresentato da un nome o da un’altra parte del discorso preceduta dalle preposizioni su accennate. Può essere rappresentato anche da un solo avverbio (oggi, domani, ieri) o da una locuzione avverbiale (lí per lí). Può essere anche espresso, in alcuni casi, da un sostantivo preceduto dall’articolo: il pomeriggio; la sera; il mattino. Sono errate, quindi (anche se alcuni vocabolari...), le espressioni “alla sera” per la sera; “al mattino” per il mattino; “al pomeriggio” per il pomeriggio e via dicendo.
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Il termine solecismo non è - come il suffisso “-ismo” farebbe pensare - una disquisizione filosofica sul... sole; il vocabolo, da non confondere con il barbarismo, è un grossolano errore di grammatica, di pronuncia e di sintassi. Proviene, manco a dirlo, dal greco “soloikismòs”, derivato dalla città di Soli, in Cilicia, dove si parlava un greco assai scorretto. I Greci, dunque, chiamarono “solecismi” tutte quelle parole che nella pronuncia, nella grafia e nei vari costrutti non rispecchiavano la “purezza” della lingua. Il termine è poi giunto a noi con lo stesso significato: grossolano errore. Sono solecismi, vale a dire veri e propri errori, per esempio, “piú meglio”, “a gratis”, “vadi”, “venghi”, “un’uomo”, “coscenza”, “soddisfando”, “stassi”, “se mi darebbero”, “ce n’è molti”, “la meglio cosa”, “qual’è”, “ci ho detto”, “gli uovi”, “è bello come tu”, “autodròmo”. Potremmo continuare ancora essendo molti i solecismi riferiti alla pronuncia: “zàffiro” in luogo di “zaffíro”; “rùbrica” invece di “rubríca”; “leccòrnia” in luogo di “leccornía”; “guàina” in luogo di “guaína”; “mòllica” invece di “mollíca”; “pesuàdere” al posto di “persuadére”. Potremmo andare avanti, ma non vogliamo tediarvi oltre misura e offendere i vari “oratori” che dai numerosi salotti televisivi ci “propinano” i loro sfondoni immortalati anche nei libri, che le persone accorte in fatto di lingua non compereranno mai.
Fausto Raso
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Il termine solecismo non è - come il suffisso “-ismo” farebbe pensare - una disquisizione filosofica sul... sole; il vocabolo, da non confondere con il barbarismo, è un grossolano errore di grammatica, di pronuncia e di sintassi. Proviene, manco a dirlo, dal greco “soloikismòs”, derivato dalla città di Soli, in Cilicia, dove si parlava un greco assai scorretto. I Greci, dunque, chiamarono “solecismi” tutte quelle parole che nella pronuncia, nella grafia e nei vari costrutti non rispecchiavano la “purezza” della lingua. Il termine è poi giunto a noi con lo stesso significato: grossolano errore. Sono solecismi, vale a dire veri e propri errori, per esempio, “piú meglio”, “a gratis”, “vadi”, “venghi”, “un’uomo”, “coscenza”, “soddisfando”, “stassi”, “se mi darebbero”, “ce n’è molti”, “la meglio cosa”, “qual’è”, “ci ho detto”, “gli uovi”, “è bello come tu”, “autodròmo”. Potremmo continuare ancora essendo molti i solecismi riferiti alla pronuncia: “zàffiro” in luogo di “zaffíro”; “rùbrica” invece di “rubríca”; “leccòrnia” in luogo di “leccornía”; “guàina” in luogo di “guaína”; “mòllica” invece di “mollíca”; “pesuàdere” al posto di “persuadére”. Potremmo andare avanti, ma non vogliamo tediarvi oltre misura e offendere i vari “oratori” che dai numerosi salotti televisivi ci “propinano” i loro sfondoni immortalati anche nei libri, che le persone accorte in fatto di lingua non compereranno mai.
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